Le fasi dello sviluppo del bambino

A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice PSP-Italia, Agrigento

Le fasi dello sviluppo del bambino

“Lo sviluppo mentale è una costruzione continua, paragonabile a quella di un vasto edificio che ad ogni aggiunta divenga più solido, o piuttosto alla messa a punto di un delicato meccanismo”.
(Jean Piaget)

Lo sviluppo umano, si presenta come un processo complesso e articolato, come la risultante di molti fattori da quelli biologici a quelli sociali e culturali, dalla nascita alla vecchiaia.
L’essere umano, di fatto, subisce nelle diverse stagioni della vita, delle continue modificazioni e cambiamenti, a livello fisico, emotivo, affettivo, relazionale, cognitivo e comportamentale.
Così il bambino, dalla nascita all’età adulta, attraversa diverse tappe e fasi evolutive.

Non esistono nella crescita dei “momenti fissi” in cui devono accadere determinate cose: non c’è un mese preciso in cui tutti i bambini devono imparare a camminare o a tenere in mano il cucchiaino; ogni bambino ha i suoi tempi, e conquistare un po’ prima o un po’ dopo una certa competenza non influisce sullo sviluppo generale. Detto questo, però, è altrettanto vero che esistono precise fasi di crescita: intervalli temporali in cui i bambini tendono ad acquisire determinate capacità.

Colui che per primo, fra tanti epistemologi, psicologi e biologi, si occupò di descrivere minuziosamente le tappe dello sviluppo del bambino, fu Jean Piaget.
Egli ritiene che lo sviluppo cognitivo non consista in un accumulo di conoscenze, ma in una serie di passi successivi, dove ogni passo rappresenta un modo di pensare qualitativamente diverso da quello precedente e da quello successivo. A ciascun stadio di sviluppo corrisponde un profondo cambiamento nella struttura o nella logica dell’intelligenza. Lo sviluppo, dunque consiste in una struttura cognitiva diversa, che produce una conoscenza più avanzata.

La sua teoria si fonda su quattro stadi che il bambino attraversa dalla nascita, ed ognuno di essi rappresenta dei traguardi raggiunti e determina nuove conquiste e nuovi obiettivi:

      • Stadio senso-motorio da 0 ai 2 anni
  • Stadio pre-operatorio dai 2 ai 6 anni
  • Stadio operatorio concreto dai 6 ai 12
  • Stadio operatorio formale dai 12 anni in poi

Ma andiamo a definire e ad osservare nel concreto cosa succede in questi 4 stadi e cosa un genitore, soprattutto una mamma, dal primo sorriso deve aspettarsi che accada.

Nel primo stadio dai 0 ai 2 anni, definito da Piaget senso-motorio, il bambino utilizza i sensi e le abilità motorie per esplorare e relazionarsi con ciò che lo circonda. L’evoluzione procede secondo i seguenti momenti:

Reazioni riflesse (primo mese);

Reazioni circolari primarie (secondo – quarto mese);

Reazioni circolari secondarie (quarto – ottavo mese);

Reazioni circolari differite (otto – dodici mesi);

Reazioni circolari terziarie (o dodici – diciotto mesi);

Stadio della rappresentazione cognitiva (diciotto – ventiquattro mesi).

Di fatto, dalla nascita sino ai 18/24 mesi le azioni del bambino cambiano repentinamente e, mentre nel primo mese di vita sono unicamente dettate dall’istinto, via via si affinano e i bambini iniziano a interagire con l’ambiente, come fossero dei piccoli esploratori.

Di fatti, nel primo mese di vita, proprio perché neppure la vista è ancora perfettamente sviluppata e anche il controllo dei muscoli deve essere perfezionato, il bambino utilizza istintivamente l’olfatto e l’udito che “lo guidano” esattamente verso la madre, il suo seno e il suo abbraccio. Gradualmente egli abbandona la posizione raccolta e impara a mantenere il corpo e le mani distese. La testa, inizialmente debole e senza controllo, è ora sorretta con forza dal collo, messo in posizione prona, inizia a far leva sugli avambracci e alza la testa. Pian piano, comincia a rotolare e passa dalla posizione supina a quella prona. Alza la testa in modo deciso e osserva il mondo con attenzione, sorride. Via via, la sua vista migliora decisamente, scopre le mani come strumenti di gioco e riesce a portarle alla bocca in modo volontario. Porta volentieri alla bocca anche giocattoli, croste di pane e qualche pezzo di frutta. Anche se la parte inferiore della spina dorsale è ancora un po’ debole, riesce a rimanere seduto da solo per alcuni secondi. Assume spesso la posizione tipica del gattonamento, ma ancora non riesce a muoversi nello spazio. Semplicemente dondola avanti e indietro. Nutre molto interesse verso gli oggetti di uso comune in famiglia: bottiglie, telecomandi, utensili della cucina e oggetti che emettono suoni interessanti, sono i suoi nuovi giochi preferiti. È affascinato dalle immagini riflesse sullo specchio. Dagli 8/9mesi può afferrare oggetti più piccoli e con molta precisione. Per farlo utilizza il pollice e l’indice. Riesce a stare seduto da solo per periodi molto lunghi, ma non ha ancora un perfetto equilibrio. A questo punto è in grado di gattonare e si gira se viene chiamato per nome, il suo comportamento è energico quando non vuole fare qualcosa. Tra i 10 e 12 mesi la capacità di coordinare le mani e afferrare gli oggetti è in continuo movimento e anche se probabilmente cammina con passo incerto e sempre aggrappato a qualcosa, inizia la voglia di divenire autonomo e di “fare da solo” , anche se ci vorranno ancora dei mesi, affinché riesca a spostarsi senza sostegno. Generalmente i primi 2 anni di vita (12/24 mesi) sono un periodo molto felice per i bambini e molto stancante per i genitori. La voglia sempre maggiore di autonomia ed esplorazione dei piccoli non va di pari passo con le loro capacità fisiche. Per questo mamma e papà dovranno controllare e supportare continuamente i loro bambini affinché possano scoprire il mondo e imparare nelle condizioni più sicure.

Ciò che marca il passaggio da questo stadio allo stadio successivo definito pre-operatorio è la comparsa della funzione simbolica. Dai 2 ai 6-7 anni, il bambino inizia a usare i simboli. Alla base di questo stadio, infatti, c’è la conquista della capacità rappresentativa, che consiste nella utilizzazione di significati (immagini, figure, gesti, parole, numeri) connessi a significati. Il bambino sperimenta e affina la propria capacità di ragionamento. Tuttavia la percezione mantiene ancora un primato sulla rappresentazione. La mancanza a questa età di alcune proprietà logiche essenziali del pensiero, come la generalità, induce il bambino a ritenere, ad esempio, che i nomi degli oggetti abbiano gli stessi attributi materiali degli oggetti, che facciano materialmente parte degli oggetti stessi, come il colore o la loro forma, invece di essere puri simboli. Il linguaggio compie rapidi progressi e gradualmente si arrivano a formulare dei “preconcetti”. Il bambino non riesce ad immaginare che la realtà possa presentarsi ad altri diversamente da come egli stesso la percepisce. Ignora i punti di vista altrui e non è consapevole del fatto che le altre persone possiedano conoscenze, ricordi o emozioni diversi dai propri. Piaget parla a questo riguardo di egocentrismo cognitivo, periodo in cui la rappresentazione delle persone, dell’ambiente circostante e delle cose, si manifesta in modo imperfetto; in particolare il pensiero appare caratterizzato da modalità egocentriche.

In questi primi anni i bambini attraversano anche una “fase” chiamata animismo, in cui attribuiscono facilmente sentimenti ed intenzioni ad oggetti inanimati, ed il loro pensiero attraversa la “fase” cosiddetta dell’irreversibilità che non gli consente di ricostruire mentalmente le azioni con le loro relative conseguenze. Il bambino considera un’azione per volta, una dimensione alla volta.

Con l’avvento della scuola materna, dai 4 ai 6 anni, il bambino acquisisce un maggior bagaglio di conoscenza, ma il pensiero non è ancora reversibile, non è in grado di mentalizzare l’azione compiuta verso uno scopo o fine. Il bambino inizia ad acquisire più autonomia e inizia a sviluppare un sentimento sociale, ricerca la compagnia degli altri bambini e bada di più all’ambiente circostante. Anche il suo pensiero si evolve e si passa dalla “fase” del pensiero intuitivo a quello induttivo.
Inizia una nuova fase di vita per il bambino ma anche per i genitori: i bambini cominciano ad andare a scuola. All’interno della classe iniziano a socializzare e la scuola diviene, oltre ai genitori un punto di riferimento dove si acquisiscono nuovi saperi, anche se l’educazione e la trasmissione di valori continuano a restare fondamentalmente un compito dei genitori e non possono essere delegati alle istituzioni. Il bambino scopre nuovi punti di vista e modi di comportarsi, e non è detto che essi corrispondano sempre a quelli dei genitori. Senz’altro queste scoperte potranno essere per lui in parte anche dolorose, ma si tratta in ogni caso di un passo importante verso la conquista della propria indipendenza.

Il bambino dai 7anni agli 11, infatti, si trova nello stadio delle operazioni concrete, fase in cui inizia a formulare operazioni logiche o principi utilizzati nella soluzione di problemi, passando dal particolare al generale e viceversa; tuttavia i processi cognitivi sono ancora legati alle azioni e quindi vincolati ad una fase puramente verbale.

Dai 12 anni in poi, nello stadio delle operazioni formali, il bambino riesce a formulare pensieri astratti: si tratta del cosiddetto pensiero ipotetico dove lo stesso non ha bisogno di tenere l’oggetto dinanzi a sè, ma può ragionare in termini ipotetici. È il livello più avanzato di pensiero: i bambini sono capaci di ragionare su rappresentazioni e quindi su oggetti astratti. Le operazioni diventano logico-formali, iniziano a ragionare sul futuro e creare realtà diverse usando l’immaginazione. Sono in grado di prevedere le conseguenze delle proprie azioni e formulare ipotesi sui possibili percorsi che un evento può seguire.

Il processo di crescita e organizzazione delle persone, legata alla crescita fisica e psicologica nell’ambiente sociale, nel periodo che va dalla nascita ai 12/13 anni non è convenzionale, e ogni individuo può attraversare queste fasi ad età differenti. Il passaggio da una fase all’altra implica spesso un periodo di crisi, che è fondamentale per adattare la propria visione del mondo alla maggiore complessità della vita interiore.

In queste situazioni i professionisti del Pronto Soccorso Psicologico-Italia possono essere d’aiuto al soggetto per far fronte positivamente ai repentini cambiamenti che lo investono nei diversi passaggi di cicli vitali. Lo sviluppo, infatti, inteso secondo la prospettiva del ciclo di vita, non riguarda solo l’infanzia.
Fino all’età adulta ciascuno di noi si trova ad affrontare e vivere evoluzioni e specifici compiti di sviluppo e cambiamento che coinvolgono ogni nostro aspetto: il mondo emotivo, relazionale, familiare, e di crescita personale. Durante la crescita, le continue modificazioni originano dall’interazione tra l’individuo (processi biologici e psicologici) e l’ambiente (esperienze di
vita, fattori socio culturali, storici e di socializzazione): per questa ragione è impossibile parlare di determinismo nello sviluppo.

Allo stesso tempo lo sviluppo è fatto di acquisizioni e perdite, crisi (dal greco crisis = cambiamento) e continuità, in cui la propria personalità può rimanere pressoché
stabile.

Riuscire ad affrontare positivamente un compito di sviluppo non è semplice né per i bambini né per i genitori. Quest’ultimi si trovano spesso a gestire eventi difficili e stressanti legati alla crescita dei figli, i quali pongono compiti educativi impegnativi e di complessa gestione. I genitori, di fatto, sono chiamati a dover gestire i naturali mutamenti dei propri figli legati al loro sviluppo psico-fisico, e ciò comporta per la famiglia una riorganizzazione che la costringe ad adattamenti e/o cambiamenti spesso anche profondi.
In questo scenario che quotidianamente si ripropone, le madri e i padri si trovano spesso “bloccati” nel fornire risposte e/o comportamenti adeguati.
È in questa cornice che l’equipe del Pronto Soccorso Psicologico Italia, può intervenire a supporto e sostegno della genitorialità, aiutando le coppie, la famiglia, le madri e i padri a trasformarsi in modelli sicuri ed efficaci e a gestire al meglio le conflittualità con i propri figli, potenziando l’autorevolezza genitoriale e migliorando gli scambi comunicativi tra figli e genitori.

Dunque, i Professionisti del PSPI possono aiutare i genitori a diventare modelli di riferimento, a chiarire la strada da percorrere, e a trovare sempre il giusto equilibrio per vivere serenamente il rapporto con i figli. Perché si sa, il mestiere del genitore è il più difficile del mondo, ma con “l’alleato” giusto si trasforma in un piacevole viaggio, carico di piccole e grandi soddisfazioni e caratterizzato dalla certezza di fare la cosa giusta per sé e per la propria famiglia.

Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia, Agrigento