Infanticidio : Perchè i genitori uccidono

A cura della Dott.ssa Daniela Cusimano, Psicologa Clinica, Coordinatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia

Abstract

The murder of a child is understood, on a social and moral level, as a crime atrox, an act aimed at inevitably breaking the natural bond between parent and child. This qualitative work seeks to identify the significant risk factors relating to victims and perpetrators and the motivations underlying such a condemnable action. Infanticide is a crime that creates social blame and a social signal like few others, with strong media coverage; public opinion is faced with the fact that the maternal instinct “is not innate” and that maternal functions are not continuously protective.

Riassunto

L’omicidio di un figlio è inteso, a livello sociale e morale, un crimen atrox, un atto volto a spaccare inevitabilmente il legame naturale tra genitore e figlio. Il presente lavoro qualitativo, si pone l’obiettivo di identificare, i maggiori fattori di rischio, attinenti alle vittime ed agli autori, e le motivazioni soggiacenti ad un’azione tanto condannabile. L’infanticidio è un delitto che determina come pochi altri biasimo e segnale sociale, con forte eco mediatico; l’opinione pubblica è messa davanti al fatto che l’istinto materno “non è innato” e che le funzioni materne non sono di continuo protettrici.

Infanticidio

Introduzione

Ogni giorno ci capita  di ascoltare in televisione o di leggere sui giornali notizie relative ad assassini in contesti familiari. Recenti studi sociali con approcci diversi hanno provato ad inserire la famiglia a dei modelli/pattern.  Il momento storico-culturale della società attuale, sempre più improntato sulla globalizzazione e  sull’ omogeneizzazione, vede una forma di famiglia sempre più differenziata e profondamente caratterizzata dalla individualità. Dobbiamo allora cercare di capire perché la famiglia, cellula base della società, sempre più spesso diviene ambito in cui maturano fatti di violenza che degenerano poi in tragedia. La prima difficoltà maggiore in cui ci imbattiamo è la definizione stessa di famiglia.

Alla base del concetto di famiglia  vi è una relazione sociale piena, che muta forma a seconda dell’esperienza e dei progetti di vita di ciascun individuo, consideriamo “la famiglia contemporanea come un sistema vivente, altamente complesso, in cui si realizza quell’esperienza vitale specifica che è fondamentale per la strutturazione dell’individuo come persona, cioè come individuo in relazione, nelle sue determinazioni di genere e di età, quindi nei rapporti fra i sessi e le generazioni.

Le trasformazioni della società attuale dovute a motivi politici, economici, all’inclusione di modelli culturali distanti e all’adozione di stili comportamentali non propri della nostra cultura europea e italiana, hanno modificato  drammaticamente gli equilibri all’interno della famiglia, mettendo in discussione i ruoli da sempre stabiliti, e  le aspettative reciproche dei membri della stessa.

In Italia, dove il  concetto di famiglia è fortemente pregnante , rispetto ad altre nazioni europee, travolta dal cambiamento, ha visto cedere uno dei pilastri della propria cultura. I fattori che creano i presupposti di una instabilità psichica ed emotiva, alla base del figlicidio, si possono distinguere due ordini di fattori: sociali e psicologici. Tra i fattori socialipossono essere ricordati: il contesto sociale e relazionale, dal momento che lo scarso supporto sociale patito dalle madri, durante la gravidanza, svolge un ruolo cruciale. Una donna che sta per diventare madre non dovrebbe essere mai lasciata da parte. Ha bisogno di accudimento e gesti amorevoli, anche quando ha difficoltà nel confidarsi e nel condividere ansie e paure di una fase della propria vita che teme di non sapere gestire ; la povertà, poiché l’instabilità economica e i bassi guadagni su base mensile sono fattori che si ritrovano nella depressione post partum e il figlicidio ; la giovane età e la scarsa esperienza di vita che ne consegue.

I fattori psicologici prevedono: depressioneo  disturbi psichiatrici nei primi sei mesi di gravidanza. Per le madri come per i padri ; stressdi natura finanziaria o riconducibili a problemi di salute; una gravidanza non pienamente volutané desiderata. La nascita di un bambino è un fatto che altera definitivamente la vita dei genitori, e a volte può capitare che la metabolizzazione di questo cambiamento non abbia i presupposti adeguati.

Era l ‘inizio del 2002 quando il caso di Anna Maria Franzoni diventava un caso mediatico nello stesso momento in ciò si conclude un altro fatto di cronaca come quello di Nove ligure, ricordiamo gli autori Erika de Nardo e del fidanzato del momento Mauro Favaro, ricordato da tutti come Omar, entrambi avevano ucciso la madre e il fratello della ragazza.

Questi sono stati i primi di una lunga serie di delitti che hanno riportato nel cultura dei mass media una verità truce come quella che nelle famiglie si uccide.

Considerazioni

L’infanticidio è uno dei reati più sconvolgenti e drammatici, implicando l’uccisione decretata di neonati o bambini molto giovani da parte dei loro genitori o di chi ne ha la responsabilità. Questo atto sconcertante provoca domande fondamentali sulla psicologia umana, il contesto sociale e le circostanze che possono fare arrivare a tali atti inammissibili. In questo articolo, approfondiremo l’infanticidio in modo più sviscerato, capendo le sue cause, l’analisi psicologica dei responsabili e le misure indispensabili per prevenirlo. L’infanticidio può assumere diverse forme, ma in generale, fa riferimento all’uccisione di un bambino molto giovane da parte di genitori o responsabili. Le classificazioni di infanticidio possono diversificare da casi di pigrizia estrema a omicidi calcolati. Le condizioni specifiche possono comportare l’abbandono, la negligenza grave, l’asfissia o altri metodi di uccisione.

Gli atti di infanticidio elevano domande rilevanti sulla psicologia dei responsabili. Molti di loro possono dolersi di gravi disturbi mentali, inclusi episodi psicotici, allucinazioni o deliri. Tuttavia, l’analisi psicologica può svelare anche la presenza di una concomitanza di stress, depressione, disconnessione emotiva e rabbia ammassata. Gli atti di infanticidio possono essere esaminati una forma di disimpegno emotivo estremo, in cui il genitore abbandona il senso di responsabilità verso il bambino e non consegue ad annoverare le implicazioni delle proprie azioni.

Quello dei genitori che ammazzano i propri figli è un tabù che faticosamente potrà essere screditato, a maggior ragione se si tratta di una madre che sopprime i figli. Questo perché ciò non è solo insopportabile, ma addirittura inverosimile.

La spiegazione di una madre che uccide il figlio, in psicologia, è quella che viene definita sindrome di Medea o complesso di Medea. Diventa importante chiarire chi è Medea? È uno dei più famosi personaggi della mitologia greca. La sua storia verrà riferita dal grande tragediografo Euripide, ma anche in epoche consecutive da altri autori anche della stessa epoca, secondo diversi punti di vista e spiegazioni. La definizione di sindrome di Medea deriva proprio alla mitologia, con interpretazioni non obbligatoriamente letterali, ma anche simboliche. La sindrome di Medea fa riferimento una condizione in cui la madre uccide, anche psicologicamente e non per forza fisicamente, il proprio figlio come atto di  ritorsione nei confronti dell’altro genitore.

Questa definizione metaforica viene foggiata nel 1988 dallo psicologo Jacobs il quale, trascinando su un piano allegorico l’infanticidio, afferma che la sindrome di Medea sia: “il comportamento materno indirizzato alla disintegrazione del rapporto tra padre e figli dopo le separazioni conflittuali.”

Lo psichiatra Joseph C. Rheingold, nel suo testo del 1967 The mother, anxiety e death: the catastrophic death complex, scrive di “essere rimasto colpito dal numero  di donne che, quasi con disinteresse, affermano il loro desiderio di abusare, violentare, storpiare o uccidere il proprio  bambino. Non ho mai conosciuto un uomo con una tale ostilità, sangue freddo, nei riguardi dei bambini.”

Una madre assassina, nella propria infanzia, presumibilmente ha maturato uno stile di attaccamento insicuro o di tipo disorganizzato con la propria madre. Ciò non vuole dire che una donna o una bambina con attaccamento insicuro potrà essere una madre assassina del proprio bambino. Questo perché bisogna  considerare l’influenza delle variabili quali ambiente, esperienze e vissuto emotivo. Quindi è attendibile che ci potrebbe essere un maggior rischio con questo stile di attaccamento, ma questo da solo non implica nulla.

Ogni reato di infanticidio può essere studiato come un reato a sé. Sono diversi i disturbi mentali e le cause stressor eventi che portano una madre e un padre ad ammazzare il proprio figlio. Le possibili cause possono essere l ‘iperattività di un figlio; una madre immatura, la possibilità che il figlio sia nato da un altra relazione. Tra i possibili disturbi legatialle cause appena citate abbiamo il disturbo istrionico , disturbo dipendente  e narcisistico. Il più delle volte  ad  attivare la macchina infernale che finisce con il sangue dei piccolic’è la relazione finita, un divorzio in vista, una separazione in atto. In altri casi accade all’indomani di un fallimento, di un tracollo sociale, della perdita del lavoro, con il sopraggiungere dell’età e non si tratta mai di un raptus. Da un canto c’è il senso di responsabilità dell’uomo che teme di non poter accudire il figlio, la famiglia intera, avendo poca disponibilità economica.

Uccidere i figli è l’unica strada per azzerare le opzioni a disposizione e risolvere un dramma personale: la via corretta , in se stessa , è un vicolo cieco,  ma è percepita dai padri assassini come unico modo per riprogrammarsi e riappropriarsi dell’identità perduta. Molto spesso i padri che uccidono i figli lo fanno per una forma di vendetta: i piccoli vengono percepiti come una estensione del partner, soprattutto della madre. Infatti va precisato che la causa del delitto efferato non è solo la separazione in sé,  ma la sensazione che si stia perdendo il controllo sulla donnache  ha generato questi piccoli. Dall’altro un padre brutale che non è diventato un killer all’improvvisoma che nel suo vissuto ha episodi di violenza domestica e, non c’entrano diagnosi psichiatriche: si tratta di uomini che come comportamento standard sono offensivi nei confronti della partner e aggressivi nei confronti dei figli.  E per punire lei, per affermare di avere ancora il controllo, di esserne in possesso, i bambini vengono uccisi. In una totale distorsione della realtà i padri che assassinano i propri figli non li vedono più come loro ma come esclusivamente della moglie o compagna.

Questi padri o madri  non percepiscono più i figli come propri, ma li attribuiscono esclusivamente alle loro ex compagni di vita. Dunque, come tali diventano ai loro occhi oggetti che possono essere distrutti.Si tratta di un crimine che avviene attraverso i processi emotivi e mentali che non sempre legati alla presenza di  patologieo alterazioni mentali tali da determinare una compromissione evidente della capacità di intendere e di volere.La precocità nell’intercettare ogni fattore di rischioè il passaggio chiave.  Quindi bisogna prestare attenzione a quelle figure genitoriali che tendono all’isolamento per questioni economiche, rapporto conflittuale tra di loro, famiglia di origine anaffettiva. Tutti questi elementi possono concorrere alla creazione dei presupposti affinché uno dei due genitori si ritrovi a uccidere il proprio figlio.

Conclusioni

L’omicidio dell’ingenuo è il fatto di cronaca più sconcertante nella nostra civiltà, particolarmente quando a compierlo sono le stesse madri: il caso si riempie di psicologi e psichiatri che  tentano  di trovare del seme della follia che ha fatto scaturire la malattia mentale, a sua volta compresa come causa, movente e attenuante.

L’abuso emotivo nei riguardi dei figli incomincia quando, nel corso di una separazione conflittuale, gli ex coniugi trascinano i propri figli in una “gara di lealtà” (Byrne, 1989) obbligandoli a prediligere il genitore preferito, a sostenere, a costruire una nuova famiglia chiusa con uno solo dei genitori; nei soggetti di età compresa tra i 9 e i 12 anni questo fenomeno è stato descritto come  “allineamento del minore con un genitore”: viscidamente i genitori usano come confidenti i figli forzandoli ad una innaturale scelta, con la finalità di estromettere l’ex coniuge dalla loro vita. Le madri appaiono genitori “alienanti” molto più abitualmente di quanto lo siano i padri, linguaggio recuperato dalla PAS (Parental Alienation Syndrome), la Sindrome di alienazione genitoriale, ovvero ammaestrati e tormentate da odio patologico ai danni dell’altro, mosse in una campagna denigratoria non rinforzata da elementi realistici. Certamente è necessario il ruolo svolto anche da tutti coloro, familiari e non, che si allineano dalla parte del genitore alienante.

Sfortunatamente l’esposizione reiterata ad abusi in età evolutiva in questo senso, può indicare la comparsa di alcuni meccanismi di difesa tipici della patologia borderline, come l’onnipotenza, la svalutazione e la dissociazione, oppure può comportare altri effetti a lungo e breve termine rilevati sui figli, come aggressività, egocentrismo, futuro carattere manipolatorio, comportamenti autodistruttivi, falso sè, disturbi alimentari, depressione e scarso rendimento scolastico.

Le madri Medea sono tormentate da gelosia patologica e, nell’analizzare la gelosia come un sentimento, non si può non mettere in risalto il carattere intenso e il suo progressivo rafforzamento, oppure valutarla anche come una passione (visto che deriva dal greco “patire”, pathêin), in quanto il geloso non esegue, ma patisce, o più precisamente prima di agire sopporta.

Chiaramente l’attore principale di questa nuova tragedia moderna è la forza del fantasma della perdita, che dimora in ogni individuo e nel proprio vissuto di carenza; così se il partner sentimentale è il delegato simbolico dell’Altro, e se è l’identificazione da parte dell’Altro (quindi del partner) che contraddistingue il soggetto e lo rende unico, è sicuro che in una situazione di promiscuità del partner il fantasma della perdita si riproponga puntuale, tenendo il soggetto sotto costante minaccia di annichilamento, riversabile senza sforzo prima verso il partner, poi verso il suo simbolo: i figli. E se la gelosia è normalmente percepita come il sale della vita, l’unico interrogativo che resta quando questo sale ha una pressione tale da far esplodere la saliera, è quello di poter  trovare il modo di ri-contenerlo nella maniera più funzionante e salvifica.

Per una forma di “sicurezza” collettiva e individuale, si è portati a pensare che una madre uccide il proprio figlio è una madre che “non sta bene con la testa”. Asserire questo vuol dire  che un evento così spietato è prima di tutto un caso limite ma, al contempo, può essere categorizzato e “motivato” in maniera razionale e tollerabile. Purtroppo, però, ci sono tante cause che sono ragionevoli e al contempo inconcepibili.

Spesso vi sono, in alcuni episodi tragici, campanelli d’allarme che vengono sottovalutati. In alcuni casi di infanticidio si può azzardare una previsione. Impedire piuttosto è difficile e complesso, ma non irrealizzabile. Sarebbe importante non sminuire e anzi contenere il disagio psichico che può condurre a un infanticidio.

Questo è un processo molto delicato poiché la madre assassina, dopo aver estinto la pena, deve tornare a confrontarsi con il mondo esterno al carcere. Per il tipo di delitto compiuto sarà marchiata a vita dalla società. Il reinserimento però è un aspetto assai importante, di cui avere cura e da non sminuire, e da trattare con la supervisione di professionisti della salute mentale.

La maternità può essere un dono eccezionale, ma anche uno caos ormonale, emotivo e fisico, oltre che un cambiamento totale nella vita di una donna. Questo cambiamento avviene sia in relazione a se stessa che nei confronti del partner e dell’ambiente circostante, quindi è fondamentale un supporto accogliente e specifico.

In alcuni casi, un supporto psicologico può veramente fare la differenza e sostenere la futura o neo mamma a coordinare i cambiamenti che una gravidanza porta con sé. Sia che faccia riferimento  al rapporto di coppia sino a  quello intimo con se stessa, rivolgersi a un professionista della salute mentale può favorire a capire meglio alcuni aspetti della maternità e della genitorialità. In condizioni come queste, anche uno psicologo online può diventare un ottimo aiuto, perché permette alla persona di poter far fronte a specifiche problematiche dal comfort della propria casa, in totale riservatezza e con terapeuti molto qualificati.

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Dott.ssa Daniela Cusimano, Coordinatrice PSP-Italia