Il tempo dell’attesa del nuovo anno

A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico-Italia

Il tempo dell’attesa

Un ottimista sta alzato fino a mezzanotte per vedere il Nuovo Anno. Un pessimista sta alzato per accertarsi che il vecchio anno se ne vada via.” Bill Vaughan

Con il Natale è appena finto il tempo dell’avvento e immediatamente riviviamo l’attesa per il nuovo anno, come se l’uomo debba continuamente riscoprirsi proiettando i suoi bisogni, i suoi desideri in un tempo più o meno definito.

L’attesa, il tempo dell’attesa contraddistingue l’intera esistenza umana, lo sviluppo individuale e, in generale, la storia dell’umanità. Esso si riempie degli auspici, dei desideri, dei propositi, della speranza del cambiamento. Ogni anno puntualmente ci si augura che l’anno nuovo sia migliore del precedente e tutti i nostri desideri possano realizzarsi.

Nella storia spesso il tempo è contraddistinto dall’attesa: il popolo ebraico ha aspettato da tempo memorabile il Messia, il momento in cui l’agnello possa convivere con il lupo. A tal proposito, A. Luzzato sostiene che l’errare degli ebrei in cerca della terra promessa è legato, da un lato, alla colpa per aver tradito il giuramento ai piedi del monte Sinai e, dall’altro, alla fiducia e alla speranza che la dispersione finirà in un tempo di restaurazione che sarà contraddistinto da giustizia e pace.

Il tempo dell’attesa, quindi, non è uno spazio vuoto, ma si nutre della fiducia e della speranza di un mondo migliore, dal poter vedere realizzati tutti i desideri che nel frattempo si sono creati.

Emblematicamente e simbolicamente nella Bibbia la fine dell’avvento coincide con la chiusura di un vecchio mondo (il vecchio testamento), e la nascita di un mondo nuovo con il nuovo testamento e la creazione di una nuova attesa, ovvero la fine dei tempi e il ritorno di Gesù Cristo sulla terra. La fiducia e la speranza sostengono sia il prima che il dopo.

Anche Argo il cane di Ulisse, sicuro del ritorno di quest’ultimo ad Itaca, muore solo al ritorno dell’amato padrone che verserà per lui le lacrime che non spanderà per Laerte, Penelope e Telemaco. Allo stesso modo Penelope non si fa neanche per un minuto prendere dallo sconforto, ed attende con grande pazienza il ritorno del marito.

Di Grazia in un suo articolo si chiede quando l’attesa finirà che cosa succederà, si esaurirà la speranza come forza redentrice? A questa domanda risponde che la speranza e la fiducia risiedono nel legame con l’altro che, provenendo dalla trasmissione generazionale, esprimono un progetto d’esistenza e, quindi, un “possibile futuro”.

Per Lacan l’inconscio è nell’ordine del “non ancora”: il non ancora visto, il non ancora saputo, il non ancora realizzato etc, dove l’esistenza stessa, per dirla con Jaspers, indica uno stare fuori di sé dove ci si attende là dove non si è ancora e ci si ricorda là dove non si è più. L’attesa, infatti, si raffigura come progetto futuro vivendo nel presente e nutrendosi del passato.

Il tempo dell’attesa è un tempo psicologico che, se riempito dalla fiducia e dalla speranza, porta benefici come la costituzione del legame sociale e relazionale; al contrario, la mancanza di fiducia e speranza comportano la morte della relazione e/o la patologia.

Un brillante esempio letterario c’è lo dà Elizabeth Jane Howard ne “Il Tempo dell’Attesa” nel momento in cui fa dire alle piccole Clary e Polly: “Il fatto è che se una madre perde un bambino può sempre averne un altro, ma di madre invece ognuno ne ha una soltanto”. Dalla biografia dell’autrice sappiamo che da piccola le era morta la mamma e che il padre era dedito alle belle donne e, addirittura, molestò la stessa figlia. La Howard si sposò giovanissima per scappare dal padre e ben presto lasciò sia il marito sia la figlia. Da quel momento ebbe molti uomini e mariti. Fiducia e speranza, infatti, provengono dalla trasmissione generazionale: “all’origine di un nuovo legame vi è un open gift, un’apertura di credito che, se ricambiata con un altro dono, che è in genere non equivalente, ma migliore, dà luogo a una relazione sociale” (Scabini – Cigoli).

Adorno sostiene che il pathos del dono stia tutto nell’attesa ed, all’interno dei legami familiari, “è una caratteristica del legame incondizionato: il legame familiare si alimenta di azioni che prestano fiducia all’altro ed ha alla sua origine un quid gratuito” (Scabini – Cigoli).

Il dono, comunque, proveniente dalle generazioni precedenti a volte può essere avvelenato e, come nel caso della Howard, non da fiducia e speranza nelle relazioni sia di carattere coniugale sia genitoriale. La vita apparentemente dissoluta della Howard trova spiegazione proprio nel dono avvelenato ricevuto. Quando l’attesa di poter modificare il passato, infatti, diventa vana, nasce la sofferenza psichica e conseguenzialmente la patologia: non soffriamo cioè per quello che ci è accaduto ma per quello che non è accaduto, per quelle parole che non siamo riusciti a dire e per quei gesti che non siamo riusciti a fare. Al contrario, la sanità è il risultato dell’ attesa di tutte le parole ancora da dire e di tutte le cose ancora da fare, ovvero di come potremmo ancora essere. L’attesa non è uno spazio in cui si aspetta qualcosa ma è uno spazio che ci separa da quel qualcosa, ed è proprio grazie a questa separazione che è possibile l’avvicendarsi delle emozioni e dei desideri, dare forma al futuro facendo emergere, prendendo coscienza ed elaborando i contenuti provenienti dalle generazioni precedenti.

E’ nell’attesa che si consuma il conflitto tra ethos e pathos: l’emergere del desiderio si scontra con la dura realtà della “Legge”, alla ricerca di quel sottile equilibrio che possa portare all’esperienza del godimento. L’Io non è una struttura stabile ma dinamica e l’attesa costituisce la modalità della sua moltiplicazione.

D’altronde sono molteplici le attese che viviamo nel corso della nostra esistenza, per non dire che in fondo siamo sempre in condizione di attesa.

Nel corso dello sviluppo sono tanti i momenti di trepidante attesa: il primo giorno di scuola, la prima comunione, la prima esperienza amorosa, il primo bacio, il diciottesimo compleanno, la laurea, il lavoro, la nascita del primo figlio, il diventare nonni, la pensione, la morte, etc. In queste situazioni ci immaginiamo là, nel futuro, ed è proprio questa separazione tra presente e futuro che determina l’attesa, che diventa quindi fondamentale per la coscienza tanto da poter dire, con Grimaldi, che la coscienza stessa non è nient’altro che attesa.

Ognuno di questi passaggi comporta la formazione di uno spazio mentale in cui far abitare l’idea del futuro che deve assorbire i possibili cambiamenti. Ogni attesa, infatti, soprattutto sul piano evolutivo, comporta una rinascita, un immaginarci e un riscoprici diversi con una nuova identità.

E’ all’interno di queste esperienze che prende corpo la dualità tra il soggetto e l’oggetto, tra il mondo interiore e le relazioni con il mondo esterno: ognuno è separato da ciò che sta diventando, da ciò che dovrebbe o potrebbe essere, e da tale separazione deriva una frattura interna tra sé e le inevitabili aspettative insoddisfatte (Grimaldi).

E’ proprio dal grado di precisione e chiarezza con cui riusciamo ad immaginare noi stessi nel futuro che dipende la nostra capacità di aspettare, dove è importante il “viaggio mentale nel tempo” ovvero la capacità di spostarsi col pensiero nel futuro e nel passato.

Onde evitare conflitti intrapersonali l’attesa deve essere riempita di realtà, poiché tende alla gratificazione immediata e potrebbe restare totalmente insoddisfatta dall’incontro con la realtà. Non è un caso che Leopardi, nel Sabato del Villaggio, scrive: Questo di sette è il più gradito giorno,/Pien di speme e di gioia:/Diman tristezza e noia/Recheran l’ore, ed al travaglio usato/Ciascuno in suo pensier farà ritorno. Molto spesso, infatti, il soddisfacimento del desiderio si consuma nell’attesa e l’incontro con la realtà potrà risultare deludente.

Kierkegaard descrive l’attesa di un passato, da cui prende avvio il tipico vissuto dell’angoscia: quest’ultimo è il restare in attesa del passato, in quella vana attesa di poterlo modificare, ovvero in attesa di tutte quelle parole che non abbiamo saputo dire e di tutte quelle cose che non abbiamo saputo fare.

V.E. Frankl, per dare maggiore risalto a questo vissuto, parla di “ansia di attesa” ovvero quando i pazienti reagiscono ad un determinato sintomo con la paura che esso possa ripetersi nel futuro ottenendo conseguenzialmente che esso si ripresenterà puntualmente. Ciò accade quando i nuclei conflittuali del passato che provengono dalle generazioni passate non riescono ad essere elaborati e il paziente resta legato al passato senza riuscire a proiettarsi nel futuro. L’attesa, infatti, nasce dal desiderio di cambiamento, dalla consapevolezza che le cose possono essere cambiate. In assenza del desiderio subentra l’impazienza e la noia.

La prima è tipica delle persone la cui mente precede l’evento e proprio per questo vivono una continua delusione e frustrazione che genera rabbia e violenza che sfocia nella distruzione dell’oggetto deludente. Queste sono le forme tipiche degli psicotici che, onde evitare di ripetere le esperienze di delusione, escludono l’attesa dai loro vissuti tendendo ad un soddisfacimento allucinatorio immediato del desiderio, e dei bordeline che tendono a distruggere, onde ripetere esperienze di frustrazione, l’oggetto del desiderio.

La noia compare in assenza del desiderio a seguito di esperienze dolorose e non soddisfacenti. Il tempo dell’attesa diventa nullo poiché non si vuole andare incontro ad ulteriori delusioni. Questa modalità è tipica delle forme depressive in cui si tende a non riconoscere l’altro come diverso da se stessi. Senza “L’Altro” il desiderio non può essere investito e si rimane vittima solo delle istanze inconsce distruttive. Ecco perché un gesto rituale e apparente semplice come l’attesa del novo anno si carica e diventa metafora di significati esistenziali profondi. Attraverso di esso viviamo e riviviamo la complessa esperienza del tempo dell’attesa che riflette la fiducia e la speranza che ci è stata trasmessa nel cambiamento.

A. Carotenuto afferma che bisogna “capire se le cose possono essere cambiate e allora vanno cambiate; se le cose non possono essere cambiate, allora bisogna piegarsi a questa realtà. Soltanto che io penso che invece è difficile capire quando una cosa può essere cambiata. Però la speranza di tutti noi dovrebbe essere proprio questa, cioè che le cose possono essere cambiate”.

Il Capodanno ci riporta a questa esperienza e ci spinge ad aprire una nova pagina, un nuovo capitolo di una storia millenaria che affonda le sue radici agli arbori della stessa esistenza umana. In fondo solo la fiducia e la speranza insita nell’attesa ha permesso all’uomo di evolversi nel corso della storia. A volte, tante volte però, malgrado i gioiosi festeggiamenti, le esperienze passate diventano talmente ingombranti dal non farci recitare i soavi versi di Leopardi:

Garzoncello scherzoso, Cotesta età fiorita

E’ come un giorno d’allegrezza pieno,

Giorno chiaro, sereno, Che precorre alla festa di tua vita.

Godi, fanciullo mio; stato soave, Stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo’;

ma la tua festa Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.

Il Pronto Soccorso Psicologico Italia è la riposta che si frappone al cambiamento: nasce per infondere speranza e fiducia nel cambiamento. Esso annulla i tempi dell’attesa inserendo i propri interventi all’interno di un contesto volto a far rinascere il desiderio, alla ricerca del soddisfacimento all’interno del godimento della Legge. Tutto ciò nella consapevolezza che la nostra storia è importante solo nella misura in cui riusciamo a rielaborarla poiché “se esiste un vincolo generativo, nel senso che non ci è dato scegliere dove, quando, in che vicenda familiare e di che genere nascere… esiste anche un vincolo a decidere che fare della propria storia generazionale” (Cigoli – Scabini).

I professionisti del Pronto Soccorso Psicologico Italia, attraverso un intervento breve, sono a li ad aiutarci a decidere come riempire il tempo dell’attesa, a rimuovere gli eventuali ostacoli e a superare le frustrazioni nuove e passate. Il tempo può assumere le sembianze delle lancette dell’orologio o trasformarsi in un contenitore pronto ad essere riempito dalle nostre esigenze e dai nostri desideri. Senza desiderio non c’è vita: è la spinta ad andare avanti, a superare tutti gli ostacoli grandi e piccoli che si frappongono al nostro sviluppo.

Prof. Mariano Indelicato, Presidente PSP-Italia