Il corpo violato: dall’esperienza emotiva a quella corporea

A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice sede Agrigento PSP-Italia

Abstract

When a person suffers a trauma, the mind and body feel the “blow” suffered. In sexual violence, the woman who has suffered abuse feels an internal discomfort that cannot ignore the physical trauma because we inhabit our body and, at the same time, physical movements of blood, bones and organs inhabit it, which do not end in their physiological description but which create references and connections with our emotional and psychic experience. Through an excursus on the body as a place, space and time, as a violated body, in this article, we want to induce the reader to reflect on its involvement in severe damage and/or trauma, such as sexual abuse and as in the process of re-elaborating the abuse, to “heal” we cannot ignore the body and not consider it a part strictly interconnected to our mind-brain.

Riassunto

Quando una persona subisce un trauma è consequenziale che la mente e il corpo risentano del “colpo” subito. Nella violenza sessuale la donna che ha subito un abuso avverte un malessere interiore che non può  prescindere dal trauma fisico, perché noi abitiamo il nostro corpo e, al tempo stesso, abitano in lui moti fisici di sangue, ossa, organi, che non si esauriscono nella loro descrizione fisiologica ma che creano rimandi e intrecci con la nostra esperienza emozionale e psichica.   Attraverso un excursus sul corpo, come luogo, spazio e tempo, come corpo violato, in quest’articolo si vuole indurre il lettore, ad una riflessione sulla sua compromissione in gravi danni e/o traumi,  come ad esempio l’abuso sessuale e sul come nel processo di rielaborazione dell’abuso, al fine di “guarire” non si può non prescindere dal corpo e non considerarlo parte strettamente interconnessa alla nostra mente-cervello.

 

Corpo Violato

Introduzione

Sin dai tempi dei tempi la psicologia si è occupata del corpo, dibattendosi sul concetto di corpo come materia inanimata e corpo come entità  animata manifestante anche i disagi psicologici.

Quest’articolo vuole attraverso un excursus sul corpo, come luogo, spazio e tempo, come corpo violato, indurre il lettore, ad una riflessione sulla sua compromissione in gravi danni e/o traumi,  come ad esempio l’abuso sessuale.

Inizialmente il corpo era considerato un’aggiunta alla mente, col tempo si è compreso che esso rappresenta il luogo dell’esperienza umana. L’individuo di fatto,  vive nel mondo e fa esperienza in questo mondo, è  incarnato in esso e non può essere decontestualizzato. Per tali ragioni, il corpo non può essere studiato solo a livello anatomico  dalla biologia, ma va attenzionato come unità mente-corpo, imprescindibile per la comprensione del vissuto umano.

“Se si isola il corpo dall’esistenza, se lo si astrae dal suo vissuto quotidiano, ciò che si incontra non è più la corporeità che l’esistenza vive, ma l’organismo che la biologia descrive”, (Galimberti, 2013).

Il corpo ci rappresenta è esperienza, tuttavia, spesso non ne siamo consapevoli e ragioniamo su tale concetto in maniera pre-riflessiva, solo quando esso è  colpito da una malattia fisica o viene attenzionato da parte di altre persone.

Generalmente, di fatto, è  solo in questi due casi che  ci accorgiamo che esso esiste ed è parte fondante della nostra esistenza e manifestazione di sintomi e di disagi anche psicologici.

In quest’ultimo caso, il sintomo si manifesta nel corpo e il corpo diviene focus attraverso il quale il disagio psicologico può trovare un equilibrio.

Il corpo è il contenitore del nostro vissuto e conseguentemente delle nostre emozioni ed è per questo che viene considerato uno strumento perfetto di comunicazione di uno stato di sofferenza mentale o di un disagio psicologico/esistenziale.

È possibile, infatti, rilevare attraverso piccoli esempi come il corpo manifesti espressamente tutte le emozioni percipite. Quando ad esempio abbiamo paura per lo più  il nostro corpo inizia a sudare freddo, se di contro siamo irritati o arrabbiati ci sentiamo improvvisamente accaldati e all’esterno indubbiamente manifestiamo rossore così come quando siamo imbarazzati. Allo stesso modo se avvertiamo ansia rallentiamo la salivazione e il cuore ci sembra battere forte o tramare le gambe etc.

Per tali ragioni, il corpo non può essere concepito né in senso assoluto quale “cosa naturale” né solamente come costruito ed investito di senso in relazione al contesto in cui è inserito. Certamente, in questa disamina verrà  attenzionato l’aspetto relazionale, che funge da link tra una visione più “ontologizzante” del corpo e una costruttivista.  

Nello specifico, Ontologia vuol dire scienza dell’ente, scienza dell’esistente; il termine deriva dal greco οντος, òntos e da λόγος, lògos (discorso), quindi letteralmente significa ‘discorso sull’essere’.

Dunque, sulla base del significato del termine Ontologizzare,  il corpo esiste in modo oggettivo, cioè indipendentemente dal vissuto esperienziale intriso di significato; il rischio di tale approccio è  quindi quello di identificare il corpo come unità avulsa dal contesto e dalle relazioni che intrattiene necessariamente con gli altri corpi. D’altro canto avere una visione strettamente costruttivista, è  anche riduttiva, perché  ci potrebbe indurre a dimenticare che il corpo è anche materia, massa, che occupa uno spazio, ha un tempo, e delle caratteristiche specifiche che sarebbe surreale non considerare per certi aspetti oggettivi.

Per mezzo della visione costruttivista si giunge alla consapevolezza filosofica ed epistemologica che considera la realtà una rappresentazione di ciò che viviamo. Per tal motivo, il corpo è senza dubbio percepito e deve essere  considerato un generatore di senso, ma non bisogna mai dimenticare che possiede una certa fisicità, che ne determina la materia. Le due visioni sinora analizzate, il corpo materia e il corpo esperienza si incontrano in questo excursus per rendere giustizia alla complessa realtà che ci accingiamo a spiegare, ovvero sia che il corpo e conseguentemente, l’individuo deve essere concepito come Unicum, cioè una unità indissolubile mente-corpo-relazione, che necessariamente hanno un rapporto di interdipendenza.

Considerazioni

Sulla base di quanto sopra esposto, è facile dedurre che mente-corpo e cervello sono inscindibili e vivono una stretta relazione d’interdipendenza, ma non è da escludere che se in un trauma, come ad esempio l’abuso sessuale, la mente è in grado di imparare ad ignorare i segnali del cervello emotivo, attraverso meccanismi di difesa dell’IO, il corpo della persona, che in questo caso ha subito violenza fisica, registri la minaccia e nel tempo continui a generare stress e a manifestarlo attraverso la comparsa diretta di un sintomo che genera malattia e dunque sofferenza oggettiva.

Secondo alcuni autori, infatti, il nostro corpo più  della nostra mente subisce il colpo.  Mentre la mente può essere curata, il corpo se viene ad essere scisso da essa e non attenzionato in connessione alle emozioni vissute, fatica a guarire e la sintomatologia, manifestante il sintomo, riemerge dopo poco tempo o in alcuni casi si “incista” e permane, divenendo un ostacolo per l’individuo che non riuscirà a guarire dal malessere interiore.

In tutto ciò che ci accade, il corpo si impone, per ogni trauma subito, specie se si tratta di un abuso, il corpo accompagna l’esperienza vissuta e da voce all’angoscia e alla paura.

A volte, nel raccontare il trauma dell’abuso, al soggetto, non basta la sola parola per sfogarsi, perché l’abuso produce una spaccatura profonda dell’IO e non sempre si è in grado di ricordare i particolari cruenti dell’accaduto che tuttavia rimangono vivi nella memoria del corpo e trovano il modo di manifestarsi in sintomo e malattia. Il corpo infatti è il riflesso del nostro inconscio e non bisogna sottovalutare i segnali di malessere che manifesta. Nei casi di abuso, il disagio fisico evoca qualcosa di sommerso, che opprime e blocca l’emotività della persona, alle volte rimanendo sconosciuta alla persona stessa che non comprende il suo stato d’animo e non si spiega perché non riesce a stare bene. In questi casi, l’unico modo per aiutare la persona è fargli intraprendere un percorso psicoterapico che attenzioni non solo il dire della persona ma anche lo stato corporeo, al fine di riallacciare in memoria le emozioni,  riportandole alla coscienza con consapevolezza senza scinderle o dissociarle attraverso la rimozione.

Il trauma che deriva dall’abuso si installa nel nucleo emotivo composto da paura, vergogna e colpa,  sedimentandosi. Difficilmente questo nucleo carico negativamente viene ad essere verbalizzato e si verifica un blocco fisico, psichico ed energetico.

La persona diviene incapace di svuotare questo carico, così che per aiutarla a sbloccarsi emozionalmente c’è bisogno di specialisti nella rielaborazione dei traumi e nella rielaborazione corporea.

Il corpo di una donna è di per sé strutturato in modo differente rispetto a quello dell’uomo e nel corpo di una donna l’essere sessuale è “interiore” , il suo aspetto fa parte ed è  connesso ad una struttura spaziale interna che ne connota la sessualità e la generatività. Il valore del tempo, il criterio del tempo, il ciclo del tempo all’interno del corpo di una donna sono imperanti e non possono essere non attenzionati poiché utili necessariamente a comprendere il mondo femminile. Basti pensare, ad

esempio alla comparsa del menarca, il ciclo mestruale che compare e scompare rendendola più o meno feconda, fa sì che l’esperienza temporale trasmetta un principio di vita e di morte strettamente connessi. La donna di fatto ha rispetto all’uomo una diversa capacità di cogliere la vita e sperimentarne la fine, di vivere il proprio tempo nel tempo che scorre attorno a lei.

E a marcare maggiormente il concetto più vivido dell’unicum corpo-mente-relazione e al contempo la stretta interdipendenza tra questi tre elementi che resta indiscussa per tutto l’arco della vita di una donna rispetto all’uomo è la gravidanza. Durante la gravidanza il corpo della donna diventa contenitore di un altro corpo (contenuto), che può crescere e svilupparsi solo per mezzo di una relazione psicobiologica. 

Focalizzandoci su quest’ultimo esempio, rimanendo ancorati consapevolmente all’immagine che la psiche nasce dal corpo per mezzo di una relazione primaria sana e funzionale e da senso all’esperienza, è certamente asseribile che il corpo è il luogo dove si sovrappongono le determinanti biologiche, psicologiche e relazionali dell’individuo.  Talune determinanti nella loro costante interazione partecipano alla strutturazione della soggettività.

“Il corpo non cela nulla, ci permette di esprimere l’inesprimibile e dice di noi ciò che vorremmo nascondere. Attraverso un rossore improvviso, lo stress, i sintomi che produce come campanello di allarme e tanti altri segnali, ci costringe a comunicare, ricordandoci che ‘Non si può non comunicare’ – I Assioma della comunicazione (Watzlawick et al., 1972)” .

Il corpo è pertanto veicolo cardine della comunicazione. Corpo dunque non solo come laboratorio di significati, ma anche come conduttore degli stessi al di là del verbale. In definitiva corpo, come afferma Marsciani (2008), quale ‘luogo delle trasformazioni’.

Il corpo quindi vive e attua le sue funzioni concretamente e ciò è stato assodato scientificamente essendo il Sistema Nervoso, il Sistema Endocrino e il Sistema Immunitario in rapporto di stretta interdipendenza e in perenne comunicazione. Questa stretta connessione è possibile grazie alle emozioni, presenti e agenti tanto nella mente quanto nel corpo.  

Conclusioni 

Alla luce di quanto sopra esposto, considerando che dal cervello dipendono tutte le operazioni mentali, normali e patologiche (Kandel, 2006), pochi restano i dubbi sull’unità bio-psichica dell’individuo, e sulla sua matrice squisitamente relazionale dello stesso.

Per tali ragioni non possiamo “indagare” il corpo violato di una donna senza considerare l’essere stesso della donna. La donna che subisce violenza sessuale ha subito indubbiamente un trauma fisico che non può prescindere dal trauma psicologico perché noi abitiamo il nostro corpo e, al tempo stesso, abitano in lui moti fisici di sangue, ossa, organi, che non si esauriscono nella loro descrizione fisiologica ma che creano rimandi e intrecci con la nostra esperienza emozionale e psichica.

A seguito di un trauma sessuale subito, infatti, il malessere o la patologia manifestata rivelano di frequente una stretta connessione che fa riferimento proprio alle emozioni e alle relazioni spazio – temporali. È impossibile che in analisi un bravo terapeuta non dia la giusta rilevanza a queste interconnessioni, poiché è  proprio andando a ritroso agli elementi emozionali e spazio – temporali significativi che è possibile disvelare i fatti realmente accaduti senza timore che questi rimangano aberrati per il dolore atroce che producono.

La donna violata vive una disconnessione del corpo dalla mente, per cui a volte non riesce nemmeno a percepire intere aree del proprio corpo. Il non essere in grado di discernere ciò che accade all’interno del suo corpo causa la mancanza di contatto con i propri bisogni e quindi la mancanza di cura del sé che caratterizza in fondo tanti pazienti traumatizzati e non solo le donne abusate.  

“A dirla tutta, nessuno di noi può essere in grado di ‘’trattare’’ un’esperienza di guerra, un abuso, uno stupro, una molestia, o qualunque altro evento di simile portata. Ciò che è successo non può essere cancellato. Quello che si può fare, invece, è occuparsi delle tracce del trauma nel corpo, nella mente e nell’anima: di quella sensazione schiacciante sul petto, che chiamiamo ansia o depressione; della paura di perdere il controllo; dell’essere sempre in allerta rispetto a un pericolo o a un rifiuto; del disgusto verso se stessi, degli incubi e dei flashback, della nebbia che ci impedisce di essere concentrati sui compiti e di essere  pienamente coinvolti in ciò che facciamo, dell’essere incapaci di aprire completamente il cuore ad un’altra persona” (Van der Kolk, 2015, 233).

La guarigione quindi può essere raggiunta solo per tramite della consapevolezza.

La sfida che ogni donna abusata deve fronteggiare è quella di ritrovare se stessa e riappropriarsi della propria vita, elaborando l’evento accaduto con l’aiuto di un professionista. In questi casi il  terapeuta deve come “condurre per mano” la paziente e sostenerla sino alla fine del lento processo di elaborazione dell’abuso possibile solo se si lavora sul rapporto con le proprie sensazioni corporee. Bisogna fare in modo che le esperienze traumatiche non siano dominino dell’esistenza ma parte del vissuto.

Accade che le pazienti che hanno subito abuso sessuale nell’atto dell’incontro col terapeuta, durante il racconto della violenza, attivino una parte del cervello, l’area di Broca, deputata alla traduzione delle esperienze personali in linguaggio comunicabile, e interrompono inconsciamente il  processo di elaborazione, poiché nell’inferenza del ricordo traumatico è naturale che avvenga  una iperattivazione dell’area di Broca, dell’emisfero cerebrale destro e dell’amigdala, concomitante ad una diminuzione delle attività di inibizione top-down sulla stessa parte della corteccia ventrale del cingolo anteriore e da parte della corteccia prefrontale mediale e dorso laterale. La persona si ritrova a rivivere l’abuso, come se fossero nuovamente presenti, tutte quelle sensazioni ed  emozioni intense e negative di paura, impotenza, sdegno, rabbia, etc.. , senza essere in grado di etichettarle, regolarle e controllarle adeguatamente, ragionare su di esse e comunicarle verbalmente in modo adeguato.

Da ciò si evince come alti livelli di attivazione dell’amigdala interferiscono con il funzionamento dell’ippocampo, e contestualmente con il sistema contiguo all’amigdala che presiede alla funzione della memoria a breve termine, valutando e registrando la struttura spazio-temporale degli eventi.

È sulla base di quanto biologicamente avviene nella mente e nel cervello di una persona abusata e tenendo in conto che il corpo abusato non appartiene più al soggetto quando si muove diversamente dal solito e/o quando alza il suo livello di attivazione fisiologica, ma è come se contenesse più soggetti che danno una sensazione di minaccia che dev’essere strutturata la clinica a supporto di una persona abusata. Il terapeuta deve necessariamente tenere in considerazione che quando si trova difronte un soggetto abusato deve modulare la distanza nello spazio, ovvero sia non può  non fare riferimento alla doppia fenomenologia che si installa nella paziente, perché se da un lato la donna abusata è diffidente e avverte come minaccia l’altro per l’eccessiva sensibilità al “contatto” solo di uno sguardo del terapeuta,  dall’altro deve necessariamente in seduta fidarsi se vuole iniziare a lavorare su se stessa e sulla nuova  maniera di percepirsi come profondamente mancante.

Il senso di ambiguità che la persona può avvertire nei suoi successivi tentativi di “relazione” è  caratteristica distintiva dell’abuso. Di fatto, il senso che avvolge gli eventi successivi al trauma può produrre atmosfere minacciose e un senso di dubbio che deforma o annulla le usuali certezze sensoriali, mettendo la persona alla mercé di qualcosa di inquietante che può sempre arrivare.

A tal riguardo, lo psicoanalista George Klein, oltre all’utilizzo delle tecniche di brain-imaging come la PET (tomografia ad emissione di positroni) e la fMRI (risonanza magnetica funzionale) utili per il terapeuta ma spesso non in grado di rilevare adeguatamente la minaccia che il  corpo della persona registra e non in grado di evidenziare ciò  che la mente rimuove, propone  la teoria della “trasformazione in attivo” come nuovissima  alternativa al trattamento dell’abuso.

Klein attraverso l’utilizzo del principio della trasformazione in attivo, come strategia del Sé per padroneggiare l’esperienza e nella ripetizione di essa creare nuove e sempre più evolute integrazioni psichiche a fronte delle minacce disgregatrici che l’evoluzione e lo sviluppo personale portano con sé, fa in modo che il paziente, nel setting, sperimenti attivamente la sua distanza corporea ottimale.

Di fatto, la persona stessa viene indotta a utilizzare gesti spontanei e seguendo nello spazio il suo tempo come per sintonizzarsi col terapeuta, ne manifesta l’intensità di attivazione fisiologica, favorendo il successivo passaggio per l’autocontatto corporeo.

Tante sono le metodologie di lavoro applicabili con la persona abusata, se ne evidenzieranno alcune quali:

–  la Riesperienza sensoriale, basata sulla rielaborazione del modello di lavoro della Somatic Experiences di Peter Levine, che prende in forte  considerazione i sintomi post-traumatici e li allaccia alle reazioni fisiologiche incomplete tenute in sospeso dalla paura. In tal contesto vi è la necessità di ancorare la persona ai suoi vissuti corporei, ogni volta che si immerge in riedizioni di scenari traumatici.

– il Gesto chiave, tecnica di intervento elaborata da Stupiggia e Liss,  basata sulla trasformazione spontanea di un gesto routinario/ripetuto dal paziente, che viene evidenziato/ripetuto/intensificato/. E’ importante che il terapeuta accompagni il paziente, rispecchiando parzialmente il movimento o il suono connesso.

– Il Metodo dei 5 passi, ricavato dall’approccio clinico di George Dowling, cui scopo è di rimettere la persona in contatto con le sue sensazioni, soprattutto quelle di piacevolezza, cercando di riconnettere armoniosamente l’area della sessualità con quella della sensualità.

– Il Debriefing biosistemico, ricavato dalla rielaborazione del Debriefing psicologico da Giovanni Lopez che suddiviso in sette fasi seguito ad una prima fase di introduzione al lavoro e all’utilizzo della corporeità, passa ai fatti a cosa è accaduto “fuori” e come l’ho “sentito” e ancora a come l’ho interiorizzato dunque al passaggio graduale alla terza fase detta del pensiero, identificativa attraverso una “parola chiave” che riassume tutto e ne individua una corrispondenza  una parte del corpo. In gruppo la persona racconta poi i sentimenti scaturiti dall’evento, e viene invitata a riviverli nella loro dimensione corporea. Quando il paziente sarà riuscito ad integrare l’espressione verbale e quella corporea della sua emozione, verrà accompagnato dal conduttore ad intensificare per un certo periodo l’espressione integrata e contemporaneamente il gruppo sarà invitato a rispecchiare il paziente. A questo punto entra in gioco come il paziente reagisce nel sistema relazionale e via via lo si conduce per strategia  verso un nuovo progetto di vita dove viene favorita la consapevolezza della “normalità” di certe reazioni ad eventi critici, che aiuta a vincere il senso di solitudine affettiva e la depressione in cui può precipitare una persona traumatizzata.

Tutte queste metodologie,  tuttavia, sono futili per il raggiungimento della guarigione soprattutto se ci concentriamo sul concetto stesso di guarigione che in questa disamina per quanto redatto è troppo complesso da codificare e raggiungere.

Sulla base di quanto sinora evidenziato nell’articolo, di fatto, sarebbe piuttosto opportuno chiedersi non se si possa realmente “guarire” dal trauma dell’abuso, quanto se esistano degli indicatori di miglioramento o delle condizioni per cui possiamo affermare che il trauma è superato e la sua portata distruttiva si è trasformata in qualcos’altro per la persona.

Tali “segni di guarigione”, data la centralità del corpo nel momento della catastrofe traumatica e ancor più nel momento della riemersione e poi della cura del trauma stesso, debbono necessariamente avere

a che fare con la corporeità. È necessario,  infatti,  che avvenga anche un cambiamento della persona in  rapporto al proprio corpo. È fondamentale per il paziente riprendere gradualmente il contatto con il proprio corpo, che lo stesso sia curato e percepito,  favorendo il movimento di sé e contestualmente che venga incentivata anche la pratica della  masturbazione, utile per favorire l’accettazione della violazione e l’inizio di un nuovo modo dolce e rispettoso di toccarsi laddove, in precedenza, è  stato posseduto con forza e rabbia.

In conclusione, possiamo asserire che la violenza sessuale genera una violazione sul corpo della persona le cui conseguenze per la mente possono essere devastanti, sia in una prima fase, che a lungo termine. La conoscenza sul trauma e le dinamiche che lo muovono consenteno oggi, in modo più preciso, di aiutare coloro che hanno dovuto subire questa tragica esperienza. Affrontare e superare la violenza sessuale è possibile, anche quando, lontana nel tempo, porta delle cicatrici apparentemente incurabili, se e solo se la terapia applicata mira a sciogliere quella tensione sottostante che non si dà pace finché non produce vendetta e cerca di stimolare le forze benefiche interne che portano “al perdono”.

In questo articolo per perdono s’intende in senso “sistemico”, il superamento delle vecchie strutture relazionali e l’instaurarsi di nuovi vincoli tra i componenti del sistema mente-corpo.

Solo così il legame di subordinazione e dipendenza può lasciare il posto ad una posizione di re e può  gradualmente attraverso il corpo lasciare “respirare” il dolore che sino a quel momento ha abitato la mente-corpo della persona, attraversandola e asfissiandola.

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Bibliografia

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Sitografia

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– http://www.psy-com.org/index.php/it/alberta-rotteglia/77-corporeita-e-postmodernismo.html

– https://www.spiweb.it/la-ricerca/ricerca/corpo-nella-psicoanalisi/

 

Dott.ssa Vera Cantavenera, Pronto Soccorso Psicologico Italia