Dall’Alfabetizzazione emotiva alla solitudine affettiva

A cura della Dott.ssa Daniela Cusimano, Psicologa Clinica, Coordinatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia

Abstract

The current present appears to be constantly crossed by  ​​indecision, hesitation and precariousness. A time that appears to be devoid of stable references, in which the human condition seems all the more disturbing if we also observe the material implications of this process: growing differences and poverty, humiliated human rights, we are witnessing an authoritarian return of violence. Despite this, the last seventy years of Western history have been characterized by a development that has never been so rapid and extensive compared to previous eras, even if cruel and unequal.

We live in a hurried time connected to visions of the development of wealth pooling, planned obsolescence, the vortices of exclusion, discriminating logic, and the deviations of pauperism. In light of all this, dealing with emotional loneliness involves deep unconscious work to increase emotional awareness, refine one’s relational skills and find more satisfying and genuine human relationships.

Riassunto

L’attuale presente appare essere percorso costantemente dall’idea di indecisione, titubanza e precarietà. Un tempo che appare essere sprovvisto di riferimenti stabili, in cui la condizione umana sembra tanto più inquietante se si osservano anche i risvolti materiali di questo processo: differenze e miseria crescenti, diritti umani umiliati, stiamo assistendo ad  un autoritario ritorno della violenza . Malgrado ciò negli ultimi settanta anni della storia dell’occidente sono stati contraddistinti da uno sviluppo mai così rapido ed esteso rispetto alle epoche precedenti, anche se crudele e diseguale.

Viviamo in  un tempo affrettato, connesso alle visioni dello sviluppo delle raggruppamenti delle ricchezze, alle obsolescenze pianificate, ai vortici dell’estromissione , delle logiche discriminanti , alle deviazioni del pauperismo. Alla luce di tutto questo è necessario fare fronte alla solitudine affettiva che comporta un lavoro inconscio profondo per accrescere una maggiore coscienza emotiva, affinare le proprie abilità relazionali e rintracciare rapporti umani più soddisfacenti e veri.

solitudine e alfabetizzazione emotiva

Introduzione

Partiamo la nostra analisi dal concetto di  solitudine affettiva intesa come quella  condizione emotiva e psicologica in cui una persona saggia dentro di sé un profondo senso di emarginazione, vuoto vitale o disinteresse. Questo particolare stato può svelarsi come una carenza di legame emotivo con gli altri, una sensazione di distacco verso sé stessi o anche un senso di disinteresse dalle proprie emozioni e bisogni più intimi. La solitudine non è inevitabilmente connessa all’assenza fisica delle altre persone, ma invece rimanda una sensazione di isolamento profondo e costante che può condizionare sfavorevolmente il benessere emotivo e mentale di un individuo.

Lo stato di solitudine , è sempre più una requisito vivo nell’esistenza umana, ritrae un profondo stato di emarginazione emotiva e sociale. Questo sentimento va ulteriormente alla semplice mancanza di compagnia fisica ed è spesso contraddistinto da una mancanza di rapporto profondo con gli altri, un senso di vuoto interiore e in certe circostanze un isolamento autoimposto.

Diventa necessario di costruire percorsi educativi rivolti all’ascolto, alla percezione, al riconoscimento delle emozioni nasce da Freud e dalla psiconalisi che, all’inizio del secolo scorso,  “hanno dimostrato che la vita emozionale del bambino influisce potentemente sui suoi sentimenti e sul suo comportamento da adulto”.  Nasce altresì, come messo in risalto da Galimberti,  dalla sofferenza dei giovani i quali oggi “non sanno che cosa sentono né quando sono felici, né quando sono angosciati. Non conoscono i nomi che caratterizzano i sentimenti che provano”. La domanda legittima che essi pongono al mondo adulto, agli educatori, agli insegnanti, etc. è “come fanno a difendersi o a mettere in atto strategie di compensazione se non sanno neppure di cosa soffrono? “

Non è un caso che i disturbi d’ansia oggi siano i sintomi maggiormente riscontrabili nella popolazione e, in particolare, nei giovani. I cambiamenti a livello somatico, vegetativo e psichico provocati da intensi stimoli ambientali spesso vengono vissuti, per il mancato riconoscimento, come ostili e sfociano in veri e propri attacchi di panico. Le emozioni, infatti,  provocano cambiamenti a 3 diversi livelli: fisologico (la respirazione, la pressione arteriosa, il battito cardiaco, la circolazione, le secrezioni, la digestione); comportamentale (le espressioni facciali, il tono di voce, le reazioni); psicologico (sensazione soggettiva, alterazione del controllo di sé, e delle proprie abilità cognitive).

Se le suddette risposte corporee non vengono associate ad una emozione, ad un vissuto emozionale subentra la paura che successivamente si trasforma in ansia poiché non si riesce a comprendere, a razionalizzare quanto sta avvenendo e, al contrario, esse vengono associate alla comparsa di una malattia fatale che, nel caso degli attacchi di panico, è la perdita del controllo e/o la morte. Lavorare sul riconoscimento emotivo, sull’alfabetizzazione emotiva nell’infanzia vuol dire prevenire la successiva comparsa di sintomi e disturbi psichici che, a volte, possono diventare invalidanti.

Inoltre, le ricerche hanno messo in risalto che lo sviluppo delle emozioni positive migliora  l’apprendimento, il clima della classe, i rapporti con gli insegnanti e tra i bambini stessi e sostiene la loro crescita psicologica. L’emozione non e’ solo al centro dell’individuo ma e’ espressione stessa della vita; pertanto si può dire che sapere riconoscere, ascoltare e rispettare le proprie e le altrui emozioni, significa ascoltare e rispettare le persone nella loro globalità.

Considerazioni

La solitudine viene definita come  quello spazio psichico dove si comparano, si rimaneggiano e si trasformano, nell’immaginazione, i significati della nostra essenza e della nostra esperienza del mondo. È nella nostra più nascosta intimità che capitano i processi più importanti relativi al Sé, quelli che posizionano il nostro modo di comprendere, di essere e di procedere. Saper restare da soli rappresenta una magnifica risorsa quando è  fondamentale cambiare l’atteggiamento mentale o il nostro rapporto con gli altri, oppure quando dobbiamo chiarire un conflitto o una  angoscia. Saper stare da soli indica saper rimanere con il proprio corpo: origliare le sensazioni degli stati fisici e come queste si connettono alle emozioni psichiche, ai vissuti e agli stati della consapevolezza.

La solitudine è difatti lo spazio dove si srotola quella funzione integratrice dell’Io, definita funzione simbolica, che ha il compito di diversificare, arricchire e modificare le contestazioni che si verificano relativamente al Sé e al mondo esterno e, senza la quale, l’Io non sosterrebbe il confronto con le disavventure della vita. La funzione simbolica corrisponde con la capacità di mentalizzare le emozioni e le sensazioni a esse legate nel corpo, di ponderare i propri stati interiori, di  individuare quelli degli altri e di poter usufruire di questa riflessività  nelle relazioni interpersonali.

Ogni giorno, le occasioni creative della solitudine vengono saltuariamente considerate mentre invece se ne rilevano, nell’ accezione comune, il senso del prosciugamento e dell’impoverimento esistenziale. Basti pensare all’origine della parola solitudine, dal latino solus la cui radice indoeuropea è se, indica divisione e ha il significato del luogo desertico e dell’essere soli, emarginati, lasciati, senza aiuto.

La solitudine può mostrarsi sotto diverse venature, dall’isolamento sociale a quello emotivo, e può avere un effetto rilevante sulla salute psicofisica di un individuo.  Morris B. Weiss è stato un importante psicologo che ha collaborato allo studio e alla comprensione della solitudine, in particolare tramite la sua distinzione tra solitudine emotiva e solitudine sociale. La sua opera più nota in questo campo è il libro “Loneliness: The Experience of Emotional and Social Isolation” pubblicato nel 1973.

In quest’ opera Weiss ha tracciato comprensibilmente le differenze tra queste due forme di solitudine:

Solitudine emotiva. Questo tipo di isolamento è soprattutto collegato all’esperienza di un vuoto emotivo o ad una mancanza di relazione emotiva significativa con gli altri. Una persona si può avvertire emotivamente sola anche quando è attorniata da molte persone. È contraddistinta da sentimenti di isolamento, malinconia e distacco dalle emozioni degli altri. Questa forma di solitudine si fonda sulla mancanza di legami profondi e significativi nelle relazioni personali.

Solitudine sociale. Di contro, la solitudine sociale riguarda principalmente la mancanza totale  di contatti umani o l’ assenza proprio di compagnia fisica. Una persona può sentirsi socialmente sola quando non ha sufficientemente interazioni con gli altri o quando saggia una mancanza di coinvolgimento collettivo. Questa forma di isolamento può essere passeggera, come quando una persona si vede in una nuova città o in una situazione in cui non ha ancora molte persone da incontrare.

Weiss ha rimarcato che sia la solitudine emotiva che quella sociale possono avere un impatto importante sullo stato mentale e sul benessere generale di un individuo.

La diversificazione tra queste due forme di solitudine è fondamentale perché rimanda a  differenti strategie di intervento. Per esempio, la solitudine emotiva può interpellare un lavoro più profondo sulla consapevolezza emotiva e sulle abilità relazionali, mentre la solitudine sociale può essere combattuta attraverso la realizzazione di strategie pratiche per ampliare le interazioni sociali e il coinvolgimento nella comunità.

Tutto ciò è strettamente correlato con lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, fattore imprescindibile nel processo di apprendimento, passa attraverso l’alfabetizzazione emotiva poiché “l’apprendimento non avviene a prescindere dai sentimenti”. Quest’ultimo, infatti, non si esaurisce in una mera trasmissione da insegnante ad alunno ma, piuttosto, si sviluppa all’interno di un contesto relazionale e la relazione è fatta anche di emozioni. Molti manifestazioni cliniche adolescenziali come chiusura in se stessi, aggressività, depressione etc. spesso derivano dal mancato riconoscimento delle emozioni e dei segnali comunicativi degli altri. Goleman fa derivare i comportamenti aggressivi adolescenziali dalla mancanza di programmi educativi dedicati al riconoscimento delle emozioni e dei sentimenti. In particolare, le caratteristiche implicate sono:  un deficit percettivo che fa si che alcuni comportamenti del tutto innocui vengono percepiti come ostili e minacciosi; dalla scarsa capacità di verbalizzare per cui questi soggetti tendono a passare all’azione piuttosto che comunicare; dall’impulsività ovvero dello scarso autocontrollo dei propri comportamenti. Per tale motivo egli propone, sebbene consapevole che “nessun percorso è una risposta al problema”, veri e propri programmi di alfabetizzazione emotiva chiedendosi “data la crisi che i bambini si trovano a fronteggiare, e data la speranza alimentata dai percorsi di alfabetizzazione emozionale, non dovremmo, ora più che mai, insegnare ad ogni bambino queste abilità, che sono essenziali per la vita?”.

Essere in grado di sentirsi soli è una capacità secondo Winnicott  questa ha  le sue fondamenta nello stare da soli in copresenza di un’altra persona, sin da piccoli.

A prima vista paradossale, si tratta in realtà di quel processo di interiorizzazione della figura amorevole e responsabile che concorre a costruire un  ambiente interno rasserenante e protettivo, che aiuta il bambino a organizzare il proprio Io per vivere in armonia senza preoccupazioni. L’adulto che ha  fatto apprendere un ambiente benevolo è capace di accettare la solitudine e la  conseguente sensazione di perdita dell’orientamento e poca integrazione, conservando  comunque un dialogo interiore, senza lo strazio dell’angoscia e del senso di  vuoto dovuto alla mancanza dell’introietto benevolo e protettivo. In termini di attaccamento la strutturazione di modelli operativi interni sicuri permetterà relazioni intime equilibrate nel processo di individuazione e differenziazione del sé.

Questa è la sfida più grande per le agenzie educative a partire dai genitori.  Preparando adeguatamente e correttamente  i bambini  a gestire la propria emotività, significa preparargli quel bagaglio interiore necessario per vivere al meglio e per relazionarsi con gli altri in modo equilibrato e sereno. Pertanto  spetta ai genitori e alle agenzie educative di riferimento riuscire a sottrarre i bambini a quell’ignoranza emotiva  che è spesso alla base di tanti comportamenti dannosi. Un impegno che deve iniziare fin dai primi istanti di vita del neonato, per proseguire e svilupparsi lungo l’età evolutiva .

Ansia o tranquillità, rabbia o equilibrio: ogni persona sarà quello che l’educazione alle emozioni avrà saputo costruire; molti genitori lo sanno, ma pochi riescono ad agire sempre di conseguenza. L’ educazione emotiva, non è altro che  insegnare cosa sono le emozioni, a cosa servono, come si esprimono e come gestirle in modo consapevole, in altre parole insegnare a capire se stessi e gli altri sul piano emotivo.

L’alfabetizzazione emotiva nasce proprio a tale scopo: insegnare ai bambini a cosa servono le emozioni e come si esprimono in modo consapevole.

Tale percorso di riconoscimento emotivo  inizia sin dalla nascita quando il cervello dei neonati comincia ad attivare processi di trasformazione ed evoluzione sempre più articolati.

L’educazione alle emozioni prosegue poi nella scuola dell’infanzia, dove il bambino, grazie all’intervento educativo dell’insegnante, può imparare a riconoscere, discriminare e condividere i propri stati emotivi, nominandoli uno per uno e differenziando, per esempio, la rabbia dalla tristezza, la paura dal disgusto. Ma il lavoro di educazione emotiva per un genitore non ha mai fine.

Per tale motivo diventa importante dare significato a un’emozione per costruire un mondo di gesti e parole intorno allo stato emotivo percepito dal bambino tale da permettergli di comprendere perché quello stato emotivo si è attivato in lui.

Conclusioni

Se la soddisfazione più grande degli esseri umani è collegata  al vivere con gli altri, «in realtà possiamo affermare che siamo venuti  al mondo per avere relazioni con altri essere  umani» (Cacioppo), allora la solitudine è una condizione patologica come la  depressione, la malinconia o l’irrequietezza, o una “malattia cronica” (R. Weiss)  perché non tutti hanno la stessa sorte: è nella privazione dell’amore che la solitudine  prende forma.  J.T. Cacioppo trova la risoluzione nel cosiddetto “terzo adattamento”:  «i fattori determinanti del successo riproduttivo dell’uomo si fondano sull’empatia, sulla  collaborazione e sui legami sociali. Sottrarsi dello scambio con gli altri determina uno strappo nel tessuto genetico che si amplia nel nostro essere fino a permeare le  emozioni. Essere soli è diverso dallo stare da soli o dal sentirsi soli. Il dolore  cronico della solitudine è una ferita straziante che può modificare il nostro equilibrio  fisiologico. È una soggezione che tramuta il bisogno insoddisfatto dell’altro in sensazioni, pensieri e comportamenti ostili» Invece Frieda Fromm-Reichmann, pioniera sugli studi sulla solitudine, la descrive: «compare come una esperienza tanto dolorosa e tremenda che gli individui fanno di tutto per liberarsene, difficile da delineare da definire più azzardata della depressione dell’ansia o della perdita.

Il passo definitivo di un percorso di consapevolezza della vita emotiva è la capacità di discernere ciò che sentiamo da ciò che realizziamo a fronte del sentimento che proviamo. Quando l’abbiamo citato, inteso, accettato, condiviso, necessita saper accettare la responsabilità della scelta derivante. La scelta che mi interpella in causa e mi mette in gioco in prima persona non sgorga da un principio di valore astratto e universale, ma dal volto dell’altro che mi osserva perché il suo destino non mi è estraneo ma “mi riguarda” (Lévinas, 1980, 48). Seminare la competenza emotiva significa conoscere innanzitutto a distinguere i moti dell’anima, nominarli, lasciarli essere, accettarli, esprimerli e, ciò che è più importante, accettare la responsabilità dei comportamenti conseguenti a ciò che saggiamo. Non è dunque respingendo la vita emotiva che si compie la formazione, ma assumendola pienamente e consapevolmente come dimensione costitutiva dell’esistenza umana.

Compito del genitore a questo punto diventa che di fronte al volto o al comportamento che esprime un’intensa attivazione emotiva nel bambino lo abbraccia e con frasi semplici, ma evocative di quel preciso stato emotivo raccontato dall’espressione del viso lo accoglie, compiendo un importante lavoro di significazione e di alfabetizzazione emotiva. Regolare un’emozione significa fornire al bambino un contenitore emotivo all’interno del quale possono essere travasate le emozioni delle quali egli si sente in balìa e aiutarlo a sentire che lì dove vengono sistemate non esondano, ma vengono comprese nel loro significato. Imparare un dinamismo funzionale che gli  permetta di ristabilire equilibrio, di riportare calma e tranquillità laddove prima si era scatenata una tempesta.

Molto spesso si pensa che bisogna crescere solamente bambini felici e in qualche modo costruire il suo progetto felicità significhi non farlo mai entrare in contatto con emozioni negative come rabbia, tristezza e paura. Ma sono proprio queste emozioni negative che non possiamo non sentire e con cui i bambini devono familiarizzare, perché la vita accade e non può sempre accadere con cose positive.

Una completa alfabetizzazione emotiva si ha nel momento in cui  al bambino l’abbiamo  aiutato a familiarizzare e riconoscere come valide anche queste emozioni e magari fornirgli storie in cui altri bambini stanno attraversando questa zona faticosa del proprio sentire emotivo. È dentro a queste storie che si trova il modo per riconoscere, gestire ed elaborare le emozioni. Tutte, sia quelle belle che quelle brutte.

È ormai comprovata l’importanza di educare alla gestione delle proprie emozioni come fattore di promozione del benessere psicologico della persona. Educare emotivamente equivale a fornire strumenti cognitivi, linguistici, emotivi, abilità sociali con cui nominare, armonizzare, costruire un mondo di eventi e momenti emotivi che accadono dentro la persona e fra le persone.

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Dott.ssa Daniela Cusimano, Coordinatrice PSP-Italia