La mente criminale

A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice sede Agrigento PSP-Italia

Abstract

Criminal behaviour can result from several factors that combine.

Specifically, we refer to how the family, school, work environment, relationships with the authorities, and social, romantic, and friendly relationships influence our emotions and the management of impulses, stress, and anger in each person’s life path. These influences act as defence and strength to forge a controlled and adequate character to live according to shared societal rules.

The criminal phenomenon is a global problem, present in all contexts, in any environment or social system, but the questions that are most often asked are: what “goes” in the mind of a murderer? Can a so-called “normal” person become a murderer, and what drives him to commit such bloody acts?

This article will try to provide adequate answers to these questions. Therefore, we will discuss that we can all become murderers. Probably, all personality types are compatible with criminal conduct, some more than others, because they are so-called “psychopaths”; that is, they suffer from a psychiatric or personality disorder. However, no one is excluded! It is good to remember that it is difficult to draw a typical “profile” since there are many, too many, factors that influence the commission of crimes.

Riassunto

Il comportamento criminale può essere frutto di diversi fattori che si conciliano tra loro.

Nello specifico, ci si riferisce a come l’ambiente familiare,  scolastico,  lavorativo e il rapporto con le autorità,  le relazioni sociali, amorose e amicali influenzano sulle nostre emozioni, sulla gestione degli impulsi, dello stress e della rabbia nel percorso di vita di ciascuna persona, che agisce come difesa e forza per forgiare un carattere controllato e adeguato a vivere secondo le regole societarie condivise.

Il fenomeno criminale è un problema globale, presente in tutti i contenenti, in qualunque ambiente o sistema sociale, ma le domande che più spesso ci si pone sono: cosa “passa” nella mente di un assassino? Può una persona cosidetta “normale” diventare un assassino e cosa lo spinge a commettere simili atti sanguinari?

In quest’articolo si cercherà di fornire risposte adeguate a tali quesiti. Si disquisirà, dunque sul fatto che tutti, possiamo divenire assassini.  Verosimilmente, tutte le tipologie di personalità sono compatibili con le condotte criminali, alcune ovviamente più di altre, perché sono cosidetti “psicopatici”, ovvero soffrono di fatto, di un disturbo psichiatrico o di personalità. Tuttavia, nessuno è escluso! Ed è  bene ricordare che è difficile tracciare “un profilo” comune poiché tanti, troppi, sono i fattori che influenzano la commissione dei reati. 

Mente criminale

Introduzione

Recentemente i mass media ci stanno esponendo sempre più a notizie allarmanti circa fatti di cronaca nera. Stiamo, di fatto, assistendo ad un esponenziale crescita di omicidi, reati patrimoniali, traffico di armi e droga , crimini e assassini che scuotono fortemente le fondamenta della società in cui viviamo. Ci si chiede dunque cosa stia accadendo, ma soprattutto cosa spinge determinate persone a commettere azioni così violente e sanguinarie.

Prima di rispondere a tal quesito, finalizzato alla comprensione  degli elementi psicologici che contraddistinguono la mente di un assassino, è generalmente utile, ricorrendo al codice penale, fare una sostanziale differenziazione tra i termini omicidio e assassinio.

È partendo dall’analisi del termine “assassino” , che  deriva dalla parola araba “ḥashshāshīn” o “ḥashāshīn” che letteralmente significa “mangiatori di hashish” , che si giunge a  tracciare in questa disamina, il probabile “profilo” di un criminale, omicida o assassino che sia.

La legislazione italiana, infatti, individua e separa come figure criminali che commettono delitti efferati contro la persona (articoli dal 575 al 623 Bis)  l’omicida in senso stretto, dall’assassino  considerato secondo il codice penale,

come “omicida volontario”. Fattivamente, per poter  comprendere  la differenza tra un omicidio (sia esso anche colposo o preterintenzionale) e un omicidio volontario, occorre sottolineare l’aspetto psicologico del dolo, dell’intenzionalità, della volontarietà. Insomma è  necessario constatare l’agire consapevole, finalizzato alla soppressione della vita altrui e non come conseguenza casuale o imprevista. A tal riguardo, un omicidio viene a essere considerato assassinio nelle seguenti circostanze:

– quando viene generato da una situazione di evidente superiorità sulla vittima, impedendo che possa difendersi, ovvero sia quando si attua un tradimento;  – quando si promette, e si riceve un premio ovvero sia quando si uccide in cambio di qualcosa (come nel caso dei sicari);

– ed ancora, quando c’è un aggravante della crudeltà, ovvero sia quando vengono procurate delle ferite non letali per rallentare il decesso e prolungare la tortura;

– ed infine,  quando si è  dinnanzi ad un caso di violenza sessuale,  per impedire che venga scoperto e facilitare la commissione di un altro crimine.

Nel XI secolo, i crimini efferati venivano accreditati per lo più ai cosiddetti Nizariti, appartenenti  alla famosa Setta degli Assassini.

Questa gente veniva appositamente reclutata giovanissima, ed erano soprattutto bambini orfani, mendicanti, con poca educazione, ecc. , per uccidere senza rimorsi.

Di fatto, veniva inculcato loro il pensiero di compiere una “missione” e, gli veniva chiesto una messa alla prova della loro fedeltà, seguivano un percorso di allenamento durissimo che li trasformava in veri e propri killer professionisti, in grado di utilizzare qualsiasi strumento come arma letale.

A tutti i reclutati veniva fatto una sorta di “lavaggio del cervello” e veniva connotata la promessa del  paradiso.

Oggi, esistono ancora i “killer”/ assassini e omicidi che fanno parte di Sette, cui viene inculcato loro la promessa di essere puri e di giungere al paradiso, compiendo atti criminosi finalizzati all’uccisione del malvagio. Tuttavia, ciò cui la gente normale, tende a pensare è che togliere la vita a un’altra persona sia un atto terribile e per questo senza dubbio la spiegazione logica è da addebitare ad un comportamento dovuto a un qualche disturbo mentale. Tendenzialmente infatti, un assassino, oggi è, rispetto al passato, considerato uno psicopatico.

In questa disamina cercheremo di spiegare che

un assassino non è per forza uno psicopatico, infatti la percentuale di psicopatici assassini è molto bassa. È piuttosto la società che ha bisogno di trovare una spiegazione a tali azioni,  e al contempo si cercherà di tracciare un “profilo” dell’assassino  e soprattutto di ciò che conduce una persona apparentemente buona a divenire così cattiva da compiere atti criminosi e così sanguinari.

Non è giusto che tutti i comportamenti che non riusciamo a spiegare vengano giustificati con una patologia, di fatto molti crimini vengono commessi  per puro piacere del male. E seppur esiste la possibilità che una persona affetta da disturbi mentali possa commettere un determinato reato, ciò non è mai la regola. La cronaca nera ci racconta di episodi in cui una persona ha ucciso parenti o amici per futili motivi e che, nonostante le numerose prove psicologiche, non presenta alcun disturbo e ha agito per semplice odio.

Ci si soffermerà dunque, in questa disamina, ad analizzare anche la differenza che intercorre fra la mente di un assassino uomo,  rispetto ad una donna e si procederà a tracciare le caratteristiche approssimative della mente di un assassino. Ricordiamo infatti che non esiste una scienza esatta in grado di delineare esattamente ciò che passa nella mente di un assassino, poiché ogni persona è diversa, ed è pertanto poco probabile che possa valere per tutti un singolo modello interpretativo.

Considerazioni

Premesso quanto sinora redatto è possibile, però, asserire con certezza che l’omicidio volontario è un comportamento criminale caratteristico dell’essere umano e non dipende affatto dal genere. È statisticamente provato, infatti,  che il numero di  uomini assassini superi di molto quello delle donne. Tuttavia, queste ultime non sono da meno e in generale ciò che sembra distinguerli nell’azione omicida è rispetto all’uomo, il metodo per uccidere. 

La storia ci narra che le donne ad esempio rispetto agli uomini essendo relegate più  in cucina hanno fatto un uso maggiore del veleno, di contro gli uomini, per loro connotazione genetica/ fisica  tendono a usare metodi più aggressivi e violenti.

Per ciò  che concerne la motivazione, invece, pare che le donne uccidano con l’intenzione di ottenere un beneficio (non necessariamente patrimoniale), mentre gli uomini piu spesso agiscono mossi da ragioni come la gratificazione o il dominio sessuale.

Generalmente gli omicidi richiedono volontarietà e dunque pianificazione. Di solito,  gli assassini sono persone poco empatiche che per avvicinarsi alle loro vittime usano tecniche di persuasione, di seduzione, ecc. Spesso, hanno vissuto storie familiari complesse e provengono da ambienti deficitari a livello affettivo che li hanno portati allo sviluppo di una personalità anomala.

Se tutto questo sembra una regola è bene precisare che quanto scritto sinora circa l’argomento, come già  accennato, non può  essere considerata una  scienza esatta, ma può cambiare a seconda del crimine, dei protagonisti (autori e vittime), dell’ambiente, ecc. Il crimine è infatti, malleabile e le ragioni per cui viene commesso si trovano solo nella mente dell’assassino. Le cose più varie e a volte orribili possono essere compiute da un malato di mente, come accennato, un cosiddetto psicopatico, oppure da una persona che ha subito sistematici abusi che l’hanno reso un sadico o ancora da un freddo calcolatore che uccide senza etica né rimorso. Di certo, la mente umana è  “infinita” e molteplici sono le motivazioni che possono condurre una persona apparentemente normale, dove con il termine “normale” indichiamo una persona che si attiene alla consuetudine e alla generalità, regolare e usuale, a compiere atti efferati.

Generalmente dunque un omicidio essendo condiderato come la conseguenza di emozioni negative, quali paura, odio, ansia e rabbia, frustrazione e disperazione, gelosia e desiderio smodato di ricchezza, umiliazione e vendetta, repressione e risentimento, può essere compiuto da persone malate di mente con deliri di persecuzione, di grandiosità oppure mistici, così  come pure da persone “normali” che vivono emozioni nel tempo  frustranti. Di fatto, tale sanguinario atto, rappresenta per lo più un fenomeno complesso, con molteplici cause. A tal riguardo, nessuna delle numerose teorie esplicative generate per  comprenderne l’origine, appare in grado di fornire, da sola, una spiegazione esaustiva della violenza omicida.

È tuttavia possibile trovare nei diversi profili degli assassini che hanno commesso crimini sanguinari matrici comuni correlate a pulsioni verso l’attuazione del potere o a pulsioni sessuali, specialmente con impronta sadica. Di fatto, sia l’assassino seriale, che lo stupratore, e l’attentatore sembrano aver profili che a livello psicologico vivono un senso di inadeguatezza e si contraddistinguono per la bassa autostima, a volte posti in relazione a traumi infantili in cui annovero umiliazioni, bullismo, abusi sessuali, svantaggio socio-economico. È come se questi criminali necessitino di riscatto sociale e di potere, per cui  commettono tali efferati atti come compensazione.

Dovendo analizzare le caratteristiche più comuni di un delinquente, a volte serial killer, si evidenziano in questa disamina alcuni tratti che contraddistinguono tali persone a partire dal vissuto della propria infanzia. La maggior parte, infatti, vive 

in un grande isolamento sociale già  a partire dal  periodo dell’infanzia e per lo più sono bambini nella cui mente l’immaginazione ha assunto un ruolo fondamentale spesso sessualizzata a causa di elementi destabilizzanti e nello stesso tempo eccitanti. Molti assassini già da piccoli hanno condotte non equilibrate, sono abituati a mentire in modo compulsivo, soffrono di ipocondria e cercano di mascherare la loro condotta deviante. Per lo più presentano problemi con le figure che rappresentano autorità e di autocontrollo, faticano ad accettare restrizioni e gestire frustrazioni. Spesso nel passato specie dei serial killer c’è  precocità nella masturbazione da bambini o da adolescenti e magari essendo stati esposti a materiale pornografico manifestano una sessualità violenta e abusiva verso il prossimo. Nell’infanzia di alcuni assassini specie dei seriali si riscontrano spesso fissazioni per certi giochi macabri che hanno a che fare con l’utilizzo del fuoco, con la morte con la tendenza a porre violenza nei confronti di animali e a volte anche persone. Per lo più  sono stati ragazzini con fantasie devastanti e condotte di ribellione che li hanno portati a compiere incendi dolosi al fine di soddisfare la pulsione distruttiva e

la pulsione sessuale. Si ravvisa in questi comportamenti un grande senso di inadeguatezza che veicola una grave forma di ribellione che si concretizza nella distruzione di qualsiasi cosa. Spesso è  presente anche un interesse morboso come detto per la morte, molti sono necromani e ciò può condurli alla necrofilia, cioè una perversione sessuale (parafilia) dell’assassino, che si esprime nell’attrazione sessuale verso i cadaveri. Generalmente un assassino compie un primo passo verso la carriera criminale come omicida mettendo in atto furti e nel tempo compiendo rapine a mano armate per colmare quel vuoto emozionale generato in tenera età. Così, come molti manifestano il loro disagio attraverso una condotta autodistruttiva che li porta a manifestare nella  prima adolescenza disturbi alimentari, abuso di alcool e di altre sostanze e la cleptomania. Proprio l’abuso di stupefacenti, rappresenta un gesto di fuga a livello psicologico dalla realtà o un atto di emulazione del modello genitoriale disfunzionale.

Oltre a tutte queste caratteristiche comuni, James Fallon, neuroscienziato americano, ha scoperto indagando nell’albero genealogico di alcuni criminali delle caratteristiche similari nei loro cervelli  psicopatici. Per la maggiore molti di essi presentavano come una ridotta attività cerebrale nelle zone che governano empatia e controllo degli impulsi, in particolare la corteccia orbitofrontale e l’amigdala. Alla luce di quanto emerso nelle sue ricerche pare dunque che vi sia un’interazione tra genetica e ambiente. Di fatto, una specifica anomalia del gene (MAO-A), pare possa indurre un individuo ad essere più aggressivo e meno empatico, così  che questa caratteristica associata all’ambiente, può avere un’influenza negativa accrescendo il rischio di sviluppare i caratteri psicopatici di una personalità assimilabile a quella riscontrata spesso nei Serial  killer o al contrario, esercitare un’influenza positiva diminuendone il rischio. Dalle sue ricerche, emerse in seguito un’altra importante scoperta e si comprese che sia danni celebrali fisiologici che accidentali possono giocare un ruolo importante nelle reazioni rabbiose di alcune persone apparentemente “normali”. Sono stati effettuati infatti, degli studi sui cervelli di alcuni assassini morti. Ebbene, dalle autopsie eseguite, è stato notato che ad esempio un grosso tumore nell’area dell’amigdala, una particolare struttura cerebrale legata alla gestione delle emozioni, la quale, se iperattivata, compromette seriamente il meccanismo di controllo degli impulsi, può  effettivamente giocare un ruolo importante nelle reazioni rabbiose, tale da condurre un uomo a compiere atti criminali. Così come, esistono persone che possono giungere a compiere atti criminali a causa proprio del drastico cambiamento, che subiscono a livello della corteccia orbitofrontale.

Conclusioni

Alla luce di quanto sinora disquisito in questa disamina, è  possibile asserire dunque che è  difficile tracciare delle caratteristiche specifiche che delineano realmente ciò che “ci sta” nella mente di un assassino. Seppure,  nel corso degli anni, criminologi, psicologi e inquirenti hanno saputo creare un profilo e studiare il pensiero dei cosiddetti serial killer.

In generale, però, nessuno per i motivi dati in ultimo nelle considerazioni di quest’articolo, può asserire con certezza che una persona cosidetta “normale”, ovvero sia quelli che generalmente sui mass media tutti riconoscono come ” era una brava persona” , “era un ragazzo calmo, buono e generoso” ,  “non lo avremmo mai detto, era così dolce” , non possa non  diventare un assassino. La presenza di queste particolari alterazioni cerebrali, cui sopra accennato, non mette solo in dubbio il concetto umano del libero arbitrio ma spalanca le porte anche all’attribuzione della pena in ambito giuridico: questa tipologia di killer sono vittime, a loro volta, di alterazioni neuropsicologiche e quindi non uccidono per loro diretta volontà. Dunque difficile delineare la colpevolezza di una persona e la consapevolezza nel compimento di atti così sanguinari. Così  che, chiunque, laddove se ne verifichino le condizioni, può manifestare comportamenti criminali.

A tal riguardo, lo psicanalista Carl Gustav Jung sosteneva che ogni persona ha un lato oscuro:

 

“Dentro ciascuno di noi, anche dentro di te, esiste un oscuro mondo sotterraneo e primitivo in cui vivono gli istinti, le emozioni irrazionali, le decisioni di pancia, gli atteggiamenti e i valori che la società in cui viviamo ci ha insegnato a rifiutare”.

 

Stante, infatti a quanto asserito da Jung, “il comportamento criminale non è un raptus frutto di mere pulsioni irrazionali e non è nemmeno solo lo specchio di ciò che abbiamo imparato e assimilato.

Il comportamento criminale è frutto come redatto in quest’articolo, di diversi fattori che conciliano tra loro, dando luce, in certi casi, a qualcosa di nuovo, inaspettato, anche estremamente violento.”

Ed è per queste motivazioni che diviene centrale, per ottemperate e prevenire lo sviluppo di determinati comportamenti e atteggiamenti antisociali e criminosi, il ruolo delle emozioni positive, della resistenza psicologica, della gestione degli impulsi, dello stress e della rabbia nel percorso di vita di ciascuna persona, che agisce come difesa e forza per forgiare un carattere controllato e adeguato a vivere secondo le regole societarie condivise. Di fatto, la devianza è frutto di una società malata e disadattata sia a livello famigliare che comunitario e verosimilmente per fare prevenzione c’è bisogno di una regolazione sociale che parta dalle singole persone per poter dare origine a una realtà nuova ed equilibrata. C’è bisogno, dunque, a prevenzione di questi incresciosi atti sanguinari, di un intervento mirato alla costruzione di valori sociali condivisi e comunitari che rafforzino il senso di appartenenza all’ambiente e al gruppo.

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Dott.ssa Vera Cantavenera, Pronto Soccorso Psicologico Italia