L’Internet Addiction Disorder

A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice sede Agrigento PSP-Italia

Abstract

In the “completely and immediately” era, in a society where new information technologies have broken down the barriers of time and space, contemporary man has developed new needs which, for some subjects, the more “fragile” ones, have transformed into actual dependencies.

Today, compared to the past, we find ourselves facing problems concerning the “new non-substance addictions”. Among these is the IAD, an acronym for Internet Addiction Disorder or “Internet addiction”, an addiction that affects more and more people, primarily young people.

In this article, we will analyse the application areas of psychology to counter the consequences of this “phenomenon”, and we will try to investigate the possible positive and negative implications of the same through the study of the causes and symptoms of this addiction.

Riassunto

Nell’era “del tutto e subito”, in una società dove le nuove tecnologie informatiche hanno abbattuto le barriere del tempo e dello spazio, l’uomo contemporaneo ha sviluppato nuovi bisogni che per alcuni soggetti, quelli più “fragili”, si sono trasformati in vere e proprie dipendenze.

Oggi, di fatto, rispetto al passato ci troviamo a fronteggiare problematiche inerenti le “nuove dipendenze non da sostanze”. Tra queste si trova l’IAD, acronimo di Internet Addiction Disorder o “assuefazione da internet”, una dipendenza che colpisce sempre piú persone, maggiormente i giovani.

Analizzeremo in quest’articolo quali sono gli ambiti applicativi della psicologia per contrastare le conseguenze di tale “fenomeno”, e cercheremo di indagare sugli eventuali risvolti positivi e negativi dello stesso, attraverso lo studio delle cause e dei sintomi di tale dipendenza.

Internet Addiction Disorder

Introduzione 

Le nuove tecnologie hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere; le nostre abitudini sono cambiate e sono cambiati i nostri sistemi comunicativi e relazionali.
Se da un lato ciò ha contribuito a migliorare le nostre vite introducendo nuovi modelli esperienziali, relazionali e cognitivi in ogni ambito (professionale, scolastico e sociale), dall’altro è divenuta causa di non pochi rischi psicopatologici connessi ad un uso smodato della Rete.

Oggi, di fatto, e invero da circa dieci anni, si è annoverata tra le nuove forme di “dipendenze senza sostanza”, l’IAD.
Con quest’acronimo, che sta per “Internet Addiction Disorder” o “Dipendenza da internet ” (termine coniato nel 1995 da I. Goldberg), s’intende qualsiasi comportamento compulsivo correlato alla Rete che provoca difficoltà nello svolgimento dell’attività lavorativa, nei rapporti affettivi, ed interferisce con lo svolgimento delle attività quotidiane.

Chi è affetto da tale Dipendenza presenta segni e sintomi paragonabili al gioco d’azzardo patologico, in quanto l’individuo “subisce” una perdita di controllo senza che ci sia una reale “intossicazione da sostanza”.

Molti studiosi affermano che l’IAD non può essere classificato come uno specifico disturbo psichiatrico, ma deve essere considerato come “un sintomo psicologico che può manifestarsi nell’ambito di differenti quadri diagnostici e clinici” (Fiumana V., 2011).

Kimberley Young fu la prima psicologa statunitense che, dopo aver fondato nel 1995 il primo Centro di Studi e Terapie per le Dipendenze Tecnologiche -il “Center for Internet Addiction”, condusse diverse ricerche finalizzate all’individuazione delle diverse tipologie e dei diversi livelli di gravità dell’uso smodato della Rete.

A tal riguardo, in ambito clinico, riadattò il questionario psicodiagnostico utilizzato per le diagnosi delle Dipendenze da gioco d’azzardo patologico (GAP), facendone uno suo, il questionario diagnostico Young (Diagnostic Questionnaire, DQ) e individuò dai risultati della sua ricerca, 5 specifiche tipologie di dipendenza online:

– la Dipendenza ciber-sessuale (o da sesso virtuale) che generalmente conduce gli individui ad utilizzare materiale pornografico scaricato online per scambiarselo, a uso commerciale in chat-room o personale, finalizzato alla masturbazione compulsiva;

– la Dipendenza ciber-relazionale o dalle relazioni virtuali, che coinvolge gli individui ad avere relazioni online e/o addirittura a commettere adulterio virtuale e spinge ad allontanarsi dalle relazioni reali piuttosto a concentrarsi in relazioni sia amicali che sentimentali prettamente virtuali;

– le Net-compulsions, che conducono gli individui “al lastrico”, tra cui rientrano:
• la dipendenza da gioco d’azzardo patologico,
• il commercio in rete,
• la partecipazione ad aste online.

– l’Information-Overload o, più comunemente, l’eccesso di informazioni che generalmente gli individui tendono a ricercare su internet in maniera compulsiva sino a perdersi per ore e ore nella ricerca;

– i Giochi al computer, indicati con il termine inglese Computer Game-Addiction, ovvero “la compulsione” ad utilizzare il computer per giochi virtuali, soprattutto giochi di ruolo, in cui il soggetto può costruirsi un’identità fittizia. Di fatto, in questi casi, il soggetto può costruirsi un’identità parallela, o esprimersi liberamente per ciò che è grazie all’anonimato, oppure “indossare” una o più identità nuove (Loreto, 2021).

Considerazioni

Alla luce di quanto sopra esposto è possibile asserire, dunque, che alla base delle Dipendenze da Internet, molti sono i fenomeni psicopatologici, dissociativi e paranoidei che possono insorgere nei soggetti che fanno abuso da Rete.

Ma quali sono i segni generali di una possibile dipendenza da Internet, e quando è realmente possibile asserire che il soggetto è dipendente dalla Rete? Cosa spinge realmente il soggetto a stare su Internet?

Spesso i soggetti che si rifugiano sul Web sono persone che rilevano altre dipendenze (alcol, droga, sesso, tabacco, ecc.), o soffrono di depressione e disturbi ansiosi e dunque utilizzano la Rete come deterrente per “sentire meno” i sintomi di questi disagi emotivo-relazionali.

Generalmente questi soggetti rientrano in tre categorie di persone ben definite: 

– i giovani, i cosiddetti “nativi digitali”, che da sempre usano la Rete come opportunità messa a disposizione per tutto, e dunque non hanno mai avuto un metro di paragone tra l’utilizzo prima e dopo l’avvento di questa tecnologia, e necessariamente avvertono l’esigenza del suo utilizzo e a volte eccedono, soprattutto se si tratta di giochi e social network; 

– le persone oltre i 45/50 anni, i cosiddetti “immigrati digitali”, per i quali il mondo virtuale è divenuto un mezzo per comunicare e star meno soli, un mondo nuovo tutto da esplorare nel quale a volte si perdono; 

– le persone con bassa o scarsa autostima e che dunque, fanno fatica a rapportarsi con gli altri; conseguentemente per compensare il loro disagio relazionale, utilizzano il mondo virtuale, che li rende meno isolati e “socialmente attivi”. Di fatto però rischiano di rimanere “impigliati nella Rete”. Non mostrano mai la propria identità e nascondendosi sempre dietro al Web, creano con esso una “connessione” spasmodica, hanno un continuo bisogno del mondo virtuale per sentirsi adeguati e in relazione.

Giovani, uomini e donne, anziani, indistintamente ma per lo più persone fragili emotivamente, usano la Rete come strategia per “sfuggire ai sintomi di questi disagi e uscirne”. 

Tra i segnali indicativi della dipendenza da Internet ci sono:  

– il perdere il senso del tempo online, ovvero quando per il soggetto i minuti trascorsi diventano ore e neppure si percepiscono; 

– l’avere problemi nel portare a termine i compiti, a casa o al lavoro, quando si inizia a trascurare il lavoro e la casa, dimenticando di far la spesa, la lavatrice o altro…; 

– l’isolamento dalla famiglia e dagli amici, quando ci si isola dalla vita reale e si inizia a pensare che gli amici online ti comprendono più di quelli reali e ci si distacca da tutto; 

– i sentimenti di colpa legati all’uso di Internet, quando il soggetto inizia a mentire sulle ore trascorse in Rete e si irrita se qualcuno gli fa notare che “sta troppo con il PC o con i dispositivi tecnologici in mano”;

– il sentire un senso di euforia quando si è connessi, cioè quando non si riesce a staccarsi dalla Rete e si usa il Web come valvola di sfogo, oppure ci si sente stressati o soli e si cerca anche un eccitamento sessuale. 

Di fatto, se in un soggetto si manifestano uno o più di questi segnali è bene non sottavalutarne la gravità, in quanto potrebbe essere che si stia sviluppando Dipendenza da Internet

Le dinamiche che s’innescano nei soggetti affetti da dipendenza da internet sono analoghe a quelle che si sviluppano in soggetti che sono dipendenti da sostanze, con comparsa di tolleranza, craving e assuefazione

Inoltre, tale dipendenza da “non sostanza” è nei sintomi similare, come accennato, anche alla dipendenza comportamentale dovuta al gioco d’azzardo patologico; si evidenziano di fatto (da ricerche condotte all’Istituto di Psicoterapia da Dipendenze da Sostanze), 7 sintomi comuni a tutte e 3 le categorie di persone prima citate:

– la salienza, che spinge le persone a trascorrere molto tempo sui Social Network e a pensare a come trovare ancora più tempo per poter rimanere connessi;

– la tolleranza che seguita ad una crescente sensazione di urgenza a rimanere connessi per raggiungere il medesimo livello di piacere;

– le modificazioni dell’umore che si hanno per per ridurre sensazioni di colpa, ansia, irrequietezza, impotenza e depressione, e per fare in modo di dimenticare i propri problemi personali;

– l’astinenza che le persone mostrano per il solo fatto di non poter accedere ai loro account social;

– la ricaduta che si ha quando si cerca di ridurre il tempo online e solitamente si fallisce; 

– il conflitto quando le priorità sono diverse da qulle reali quali praticare hobby o sport, prediligere le attività all’aperto, dedicarsi allo studio o al lavoro, ai familiari o agli amici;

– i problemi che insorgono a causa dell’utilizzo smodato ed eccessivo dei Social Network che conducono inevitabilmente a soffrire per la propria salute.

Per ciò che concerne invece l’insorgenza delle cause e gli aspetti eziologici dell’ IAD, ad oggi, queste risultano sconosciuti

Ciò che le odierne ricerche neurobiologiche azzardano ad ipotizzare è l’esistenza di uno “squilibrio” tra il sistema della serotonina e della dopamina, entrambi agenti regolatori di comportamenti come la disinibizione comportamentale e il meccanismo di gratificazione. Di fatto, mentre la serotonina regola prevalentemente l’inibizione comportamentale e l’aggressività, la dopamina è collegata ai meccanismi di piacere/gratificazione e a quei comportamenti di attivazione della curiosità e ricerca delle novità (Casha and colleagues, 2012). 

Secondo alcuni studi condotti da Volkow N.D. e coll. (1997a, 1997b) è possibile asserire che nel nostro organismo si possono verificare reazioni chimiche, come ad esempio l’innalzamento dei livelli di dopamina non solo dopo l’assunzione di sostanze come ad esempio alcool o droghe varie, ma anche a seguito della messa in atto di comportamenti associati ad esempio al gioco d’azzardo, al mangiare del cioccolato o dal ricevere/dare un abbraccio o una parola di gratificazione. 

Per tali ragioni, la dipendenza da Internet, si potrebbe in qualche modo interpretare come causata da determinate reazioni emotive e forse anche mentali, che si ricavano dalle attività online.

Si presume, di fatto, che le personalità predisposte a sviluppare “dipendenza da Internet” potrebbero non avere sviluppato una quantità sufficiente di serotonina/dopamina oppure non presentare un numero adeguato di recettori dopaminergici. 

Per tali ragioni, rispetto agli altri “normali” individui, avrebbero difficoltà a sperimentare normali livelli di piacere nello svolgimento delle attività quotidiane e dunque per aumentare il loro piacere, ricercherebbero un maggior coinvolgimento al fine di stimolare il rilascio di dopamina nei nuclei accubens, coinvolti nel circuito della gratificazione.

Solo così, tali soggetti, otterrebbero una maggior gratificazione, seppur con il passare del tempo, queste alterazioni tenderebbero a cronicizzarsi, costruendo una nuova anomala, stabile e resistente condizione di non-equilibrio (Casha and colleagues, 2012). 

Come accennato in precedenza, l’interruzione di un comportamento compulsivo, qualunque esso sia, provoca nei soggetti dei sintomi fisici molto simili a quelli manifestati dai tossicomani in “crisi di astinenza”. 

Ad oggi, molti ricercatori e psicologi escludono che i disturbi di personalità possano essere associati in forma consistente all’IAD, tuttavia hanno notato che, come riportato anche prima, i disturbi d’ansia, dell’umore, del controllo degli impulsi, sono ad esso associabili e che l’IAD si manifesta più facilmente in individui caratterizzati da tratti di personalità ossessivo-compulsivi e/o tendenti al ritiro sociale. Per loro, l’IAD rappresenta un comportamento di evitamento tramite il quale non affrontare le proprie problematiche esistenziali (Casha and colleagues, 2012).

Young e coll. (1999) hanno definito alcuni elementi tipici e facilitanti l’insorgenza di psicopatologie legate all’uso di Internet: gli accadimenti di vita spiacevoli che intravedono in internet una risoluzione, le pratiche rischiose che conducono a vivere le relazioni più nel virtuale che nel mondo reale e le psicopatologie insite proprio nella stessa rete quali l’anonimato, che permette di descriversi con specifiche fisiche e caratteriali spesso distanti da quelle reali e sentimenti di onnipotenza e hanno notato, inoltre, che come per altre patologie, i fattori ambientali giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo disturbo. Nello specifico, hanno una loro pregnanza: la crescente disponibilità di PC e gli intrattenimenti offerti da Internet. 

Secondo l’approccio cognitivo-comportamentale di Davis R.A (1999), l’IAD deriva da cognizioni disadattive unite a dei comportamenti che intensificano o mantengono la risposta disadattiva.

Di fatto, l’individuo riceve un rinforzo dall’evento, questo rappresenta il fattore chiave per “il condizionamento” all’azione stessa e quando il rinforzo è positivo, la persona viene condizionata a compiere più frequentemente la medesima attività al fine di raggiungere una reazione fisiologica simile. Come in ogni processo di condizionamento, gli stimoli associati con lo stimolo primario diventano rinforzi secondari e agiscono rinforzando la patologia (Şenormancı and collegues, 2012). È possibile dunque, confermare che con l’elevazione del tono dell’umore, l’esperienza gratificante si intensifica.

Si riportano alcuni esempi rappresentati dalla pornografia (gratificazione tramite la stimolazione sessuale), dai giochi (gratificazione per il tramite dell’identificazione con un eroe) e dalle chat (soddisfazione che deriva dal senso di appartenenza sperimentato dalle persone) (Fata, 2012).

E si indicano due tipi di cognizioni disadattive che si sviluppano negli individui affetti da IAD: 

pensieri distorti sul mondo, che si manifestano automaticamente ogni volta che uno stimolo associato ad Internet è disponibile; 

pensieri distorti su di sé, basati sulla ruminazione e generati da uno stile cognitivo.

E se la ruminazione centrata su di sé, favorisce nel sogetto la tendenza a ricordare gli episodi più rinforzanti, mantenendo così il circolo vizioso del disturbo, di contro, altre distorsioni cognitive riguardanti sempre il sé dell’individuo inglobano la messa in dubbio delle proprie capacità, un basso livello di auto efficacia e una bassa autostima.

Cosicché, l’individuo che si sottovaluta e ha una bassa considerazione di sé ricerca in Internet risposte positive dagli altri “sconosciuti” che, a suo modo di “vedere”, non lo attaccano. (Young & Nabuco, 2010).

Attualmente, il trattamento del “Dipendenza da Internet” viene esaminato sulla base di caratteristiche clinico-psicopatologiche simili ai disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo e del controllo degli impulsi e associato ai disturbi da uso di sostanze e ai disturbi dell’umore, soprattutto quelli appartenenti allo spettro bipolare (Casha and colleagues, 2012).

Generalmente l’IAD, a livello farmacologico, viene trattato con gli stabilizzatori dell’umore e i modulatori glutamatergici e antagonisti degli oppioidi che, in combinazioni personalizzate, hanno mostrato una buona efficacia nella riduzione della sintomatologia e nel controllo del craving. Quando però, il disturbo d’IAD si associa a un evidente e grave livello di depressione e ansia è utile intervenire con una terapia a base di psicofarmaci. Nello specifico, buoni risultati sono stati ottenuti con l’utilizzo degli antidepressivi di tipo SSRI, (Casha and colleagues, 2012).

Ma la cura più efficace, tuttavia, è stata da sempre considerata la psicoterapia. Di fatto, è sempre stato utile associare al trattamento farmacologico specifiche cure psichiche, che si modificano al variare dell’approccio teorico e dell’epistemologia di riferimento.

Nello specifico, la terapia cognitivo – comportamentale (CBT), ha da tempo rappresentato un punto di riferimento, nel trattamento dell’IAD. Questo tipo di percorso psicoterapico mira ad individuare comportamenti alternativi in grado di sostituire gradualmente l’utilizzo eccessivo di internet. 

Di fatto, la terapia cognitivo-comportamentale, si basa sul principio che il paziente è l’artefice principale del proprio cambiamento, ed è facile comprendere quanto sia importante che egli assuma un ruolo attivo nel proprio percorso di cura, in funzione del fatto che lo stesso è il massimo esperto delle esperienze che lo riguardano, e che lui soltanto è in grado di fornire al terapeuta e a sè stesso la chiave di accesso al suo sentire.

Pertanto, le tecniche cognitive hanno l’obiettivo di creare cambiamenti a livello del pensiero, modificando quegli schemi disfunzionali causa dei comportamenti disadattivi del paziente. “La tecnica espositiva, largamente utilizzata in campo cognitivo comportamentale, è un valido strumento volto a valutare l’inesattezza di determinate credenze all’origine della patologia, nonché uno straordinario strumento per sperimentare nuove modalità di interazione con l’ambiente” (Rotasperti, 2015).

Nel trattamento dell’IAD attraverso il modello della CBT le componenti comportamentali includono che: venga registrato l’uso di Internet, che si redigga durante l’attività online una lista dei pensieri e delle sensazioni provate attraverso tutti i cinque sensi, che il soggetto venga tenuto lontano da Internet per un definito periodo di tempo e monitorato affinché non si registrino comportamenti “negativi”, che siano fatte osservare al soggetto le proprie reazioni cognitive verso la rete attraverso la presentazione delle multiple funzioni di Internet, che venga favorita l’auto-motivazione dello stesso attraverso l’annotazione su dei memo (reminder cards), da leggere periodicamente nel corso della giornata, di almeno cinque svantaggi che gli provoca l’uso smodato di internet e cinque utilità che otterrebbe risolvendo la sua dipendenza dalla Rete. 

Infine, per contrastare l’attivazione fisiologica conseguente all’attività in Rete, al paziente può esser insegnata la tecnica del rilassamento progressivo autoindotto

Inoltre, è stato osservato che l’introduzione di esercizi fisici e le attività sportive possono compensare la riduzione di dopamina legata all’IAD e favorire l’efficacia delle tecniche CBT sul disturbo (Fata, 2012).

La psicoterapeuta Kimberly Young, grazie ai suoi studi decennali condotti nell’ambito della Dipendenza da Internet, ha individuato per il trattamento dell’IAD alcune strategie similari a quelle con cui si affrontano le dipendenze da sostanze.

Ad esempio, una prima strategia che spesso viene proposta al soggetto è quella di riorganizzare il suo tempo trascorso in Rete prevedendo l’utilizzo di fattori esterni per bloccare l’attività online. Nello specifico, si prescrive al soggetto di connettersi in rete alle 7, sapendo che lo stesso deve andare al lavoro alle 8 e in questo modo gli si lascia poco tempo per navigare.

Altra strategia è quella di dare al soggetto come obiettivo un numero massimo di ore di connessione giornaliera da controllare tramite un diario, fissando con una sveglia vicina al PC l’orario limite di connessione per avere uno stimolo esterno che favorisce il rispetto della prescrizione. Si può poi indicare al soggetto di sostituire l’attività online che più lo vede coinvolto con un’altra attività, sempre online, che non lo ha ancora condotto ad una vera e propria dipendenza (Yough, 1999). 

Nell’ ambito strategico invece, le disfunzioni connesse all’ uso smodato di Internet vengono suddivise in due tipologie: quelle basata sul piacere e quelle basate su un meccanismo di tipo ossessivo-compulsivo (Cagnoni & Nardone, 2002). In questi casi il paziente viene “inconsciamente” indotto attraverso accorgimenti terapici a vivere vissuti emozionali in grado di sbloccare la sua rigidità e di indirizzarlo verso una nuova visione della realtà. 

Di fatto, nelle “disfunzioni incentrate sul piacere”, tutte le azioni sono volte ad interrompere il rituale piacevole di cui il soggetto non riesce a fare a meno. A tal riguardo, per impossessarsi del sintomo e agire sulla piacevolezza del rituale, al soggetto viene prescritto il rituale ma viene cambiata la struttura (ad esempio al giocatore viene data la possibilità di puntare ogni giorno una piccola somma prestabilita anche se decide di non giocare).

Altro efficace intervento è l’inserimento nel virtuale di un po’ di realtà. Di fatto, ad esempio, la partecipazione attiva di un familiare alla navigazione online, permetterebbe al reale di contrastare la piacevolezza del virtuale. 

Se viceversa il soggetto dipendente presenta un “meccanismo di tipo ossessivo-compulsivo” si tenderà a seguire un’altra una logica. In questo caso, infatti, al soggetto che è vittima delle sue strategie di controllo, la prescrizione principale sarà quella di eseguire il rituale in modo più gravoso, confinandolo in un determinato spazio e tempo. Si tratta quindi di opporre al rituale un contro-rituale che ne riduca l’effetto (Cagnoni & Nardone, 2002).

Un altro trattamento di successo per contrastare il fenomeno dell’Internet Addiction Disorder è l’ipnoterapia.  

Erik Wright (1987) indica alcune fra le principali strategie da metter in atto per baipassare tutte le abitudini piacevoli che producono dipendenza: 

– la Strategia legata alle conseguenze positive future, che utilizza tecniche immaginative orientate al futuro, evidenzia gli atteggiamenti a lungo termine appaganti legati al superamento della dipendenza, denigrando quegli atteggiamenti negativi del presente;

– la Strategia legata all’accentuazione delle conseguenze negative, dove attraverso la tecnica dell’evocazione di fantasie immaginative percepite come avverse, concentrandosi sulle conseguenze negative del comportamento che sono specifiche per il soggetto, Wright ritiene ci sia la possibilità di mettere il paziente di fronte alle sue stesse conseguenze negative e alla sua dipendenza svalutandone il piacere immediato;

– la Strategia legata alla sostituzione del mezzo di gratificazione, dove attraverso tecniche di rilassamento autoguidato che permettono di trasportare le suggestioni ipnotiche nella situazione in cui l’individuo necessita aiuto, si permette al soggetto di ridurre il suo stato di tensione e si fornisce allo stesso la percezione di autoefficacia, incoraggiandone così la messa in atto di strategie adeguate di coping; 

– la Strategia di autogratificazione, mediante la quale si lavora per rafforzare il Sè del soggetto attraverso suggestioni che vanno ad accrescere l’autostima, il sentimento di autoefficacia e la motivazione intrinseca al cambiamento.

L’insieme di queste strategie permette di strutturare nel soggetto un comportamento di decision-making consapevole: invece di rispondere in forma automatica e abituale, il soggetto viene portato a decidere in modo consapevole se concedersi il lusso di un’abitudine distruttiva (Hammond, 1990).

A volte la dipendenza da Internet non ha conseguenze solo sul soggetto “abusante” ma può aver coinvolto negativamente la famiglia. In questi casi, viene introdotta la terapia famigliare che permette ai familiari tutti, di divenire co-protagonisti del cambiamento e supportare la motivazione del soggetto ad affrontare e risolvere la dipendenza.

Altra valida alternativa terapeutica quando non c’è un valido sostegno all’interno della rete sociale di appartenenza (Young, 2010), sono i gruppi di supporto.

A volte verosimilmente data la complessità di questi pazienti, si ricorrere anche ad un trattamento multimodale che prevede l’utilizzo di farmaci unito a differenti forme di psicoterapia (Young, 2010). 

Tutte le tecniche psicoterapiche sono finalizzate ad interrompere il circolo ossessivo della dipendenza, e quando ciò accade il soggetto viene incoraggiato a riprendere gradualmente le attività che fino a quel momento aveva trascurato. Spesso, può esser d’aiuto all’individuo per poterle riutilizzare in caso di ricaduta, e lo si stabilisce con il terapeuta una registrazione, come fosse un’annotazione vera e propria di tutte le tecniche che hanno prodotto nel soggetto i migliori risultati.

Conclusioni

Volendo concludere, dopo aver descritto e definito l’IAD dando al lettore la possibilità di conoscere in generale il disturbo e ciò che sono i trattamenti applicativi in ambito psicologico, è possibile asserire che tale dipendenza sta rapidamente avanzando.

A tal riguardo, come si evince dal testo, non vi sono dati certi sul riconoscimento di tale disturbo e molti disaccordi nascono in merito all’inquadramento della patologia. Non è chiaro se l’IAD debba essere classificata come una dipendenza comportamentale, un disturbo del controllo degli impulsi o un disturbo ossessivo-compulsivo.

Quel ch’è certo è che nella pratica clinica, i sintomi osservati mostrano molte aree di sovrapposizione con i sintomi comunemente legati alle dipendenze comportamentali. Tuttavia, non è ben chiaro se i meccanismi sottostanti, responsabili per la dipendenza comportamentale, permangano inalterati al variare delle diverse manifestazioni dell’IAD. È comunque ben evidente, a causa della complessità dei pazienti, che molteplici sono le psicoterapie a cui poter far ricorso e conseguentemente i trattamenti multimodali utilizzabili.

Inoltre, volendo far un passo indietro su quanto disquisito all’inizio circa l’utilizzo della Rete e la sua utilità, è bene sottolineare che il problema non è legato ad Internet o alle nuove tecnologie in sé, piuttosto all’utilizzo che di esse si fa.

Bisogna dunque intervenire in maniera preventiva in famiglia e a scuola, affinché Internet sia utilizzato in modo positivo dai giovani ma anche dagli adulti. Bisogna risvegliare la famiglia ai nuovi bisogni educativi dell’infanzia e dell’adolescenza; coinvolgere la scuola e la società per educare all’uso responsabile delle nuove tecnologie. Tenendo presente che la socializzazione reale non dovrebbe mai essere totalmente sostituita da quella virtuale. 

Ed interrogarsi sul quesito: Internet è diventato parte integrante della nostra vita o è la nostra vita?

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DSM 5 – dipendenze da non sostanze: L’Internet Addiction Disorder

Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice sede Agrigento PSP-Italia