I maltrattamenti invisibili in famiglia

A cura della Dott.ssa Daniela Cusimano, Psicologa Clinica, Coordinatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia

Abstract

Every day, the mass media report acts of serious violence committed within the walls of the home, both between spouses and between parents and children. The violence in the family, which is nevertheless spoken about and which hits the front pages of the news, is simply that which takes the form of such complexity that it cannot be silenced, that is to say, when it ends in forms of crime against the person of particular concern, such as ‘homicide. The reasoning that will be explored in depth in this article arises from the hypothesis that in addition to manifest intra-family violence, which cannot be denied, there may be another type of violence, which, behind the apparent “perfect” family relationships, hides an alarming reality characterized by oppressed conflicts, atrocious daily evils, derogatory attitudes, establishing what we call psychological and moral violence. These attacks do not occur explicitly on a physical level like a slap, a push, or a kick, but day after day, they build an unbearable climate and begin a process of psychological decay, where words and attitudes can strike as deeply as fists, they can be used to belittle and slowly destroy a person.

Riassunto

Ogni giorno i mass media, riferiscono atti di grave violenza commessi all’interno delle mura della casa, sia tra coniugi che tra genitori e figli. La violenza in famiglia di cui tuttavia si proferisce e che salta nelle prime pagine dei telegiornali  è semplicemente quella che prende le fattezze di complessità tale da non potersi ammutolire, vale a dire quando finisce  in forme di reato contro la persona di singolare preoccupazione, come l’omicidio. Il ragionamento che verrà approfondito in questo articolo scaturisce dall’ipotesi che oltre alla violenza intra-familiare manifesta, che non può essere smentita, ne può sussistere un’altra, che dietro le apparenti relazioni familiari “perfette”, cela una realtà allarmante contraddistinta da conflitti oppressi, atroci cattiverie quotidiane, atteggiamenti dispregiativi, stabilendo quella che chiamiamo violenza psicologica e morale.Tali attacchi, non avvengono esplicitamente sul piano fisico come uno schiaffo, una spinta, un calcio, ma giorno dopo giorno, costruiscono un clima insopportabile ad cominciano un processo di disfacimento psicologico, laddove le parole e gli atteggiamenti possono colpire in profondità come pugni, possono essere impiegate per sminuire e pian piano annientare una persona.

maltrttamenti in famiglia

Introduzione

La nostra società soprattutto la parte occidentale è troppo spesso impregnata di una cultura patriarcale costruita sulla supremazia maschile, che ha sempre teso a bandire le donne in una posizione di subalternità, e spesso, di conseguenza, anche solo discutere di questi argomenti risulta sfortunatamente un tabù. Ecco perché la violenza, quella di genere particolarmente, spesso e volentieri prende il carattere dell’invisibilità: invisibile perché si logora all’interno del riservato dei rapporti familiari e affettivi, perché non costantemente se ne riconoscono i contorni ed i contenuti, invisibile anche perché la comunicazione e la notizia mediatica creano spesso enigmaticità, pregiudizi, stereotipi che danno luogo a percezioni deformate e a sovrapposizioni di significato. La violenza di genere è anche un evento abbastanza difficile da bloccare, perché si nasconde nelle intercapedini della società, spesso fuggenti e impensati,  palesandosi per lo più tacitamente nella vita quotidiana e arrivando a rappresentarsi come un evento occasionale addirittura nella sensazione delle stesse vittime. La cosa che più urta è che tale fatto comincia non appena serrato l’uscio di casa, dove “si dice”, ognuno dovrebbe beneficiare di maggiore sicurezza, ovverosia in famiglia. Violenze viscide sciupate nell’intimo delle mura domestiche, che non fissano segni sul corpo, ma che percuotono in profondità l’anima, la personalità e la dignità restituendo la vita difficilissima. Famiglie in cui sono vive forme di relazioni contorte, verso i figli, ma anche tra i coniugi, che possono sboccare, non solo in violenza fisica, ma anche, in maltrattamenti morali che contraddistinguono il clima domestico. La violenza intra-familiare ritrae sfortunatamente una infelice realtà, che interessa sempre più spesso la “coppia” in tutte le sue sfaccettature. Costantemente ci troviamo di davanti soggetti inadeguati di domare o svelare in pubblico le particolari tensioni, l’aggressività, con la finalità che le delusioni, i disagi e le sofferenze, le rovesciano nella sfera più intima dei rapporti primari. La famiglia non raffigura solo un sistema in cui vi sono vincoli affettivi positivi, quali la condivisione, il rispetto e l’amore, ma anche un organismo carico di affetti negativi quali la sopraffazione, la perversione, la prevaricazione fisica, psicologica, sociale, economica e sessuale. Il soggetto scomodo, violento e distruttivo, come lo psicopatico o il narcisista maligno o patologico, per l’innato bisogno di comandare e annientare anche le persone di famiglia o con le quali hanno avuto dei figli, compie assai sovente reati ed illeciti dai quali ci si vede obbligati a proteggere se stessi e, nel caso che vi fossero, i propri figli. Quante possibilità la vittima accorda al soggetto che ha vicino? Quante volte le sue aspettative sono state ingannate e la violenza psicologica è, anzi, ingrandita? Spesso continui tradimenti, assenze, pure nel corso di malattie o gravidanze, deprezzamenti, disapprovazioni e silenzi hanno rappresentato gran parte della relazione. Il partner aggressivo si è tolto  da qualunque responsabilità verso il dolore che provocava e verso gli impegni presi, morali e materiali.  Il soggetto infastidito e brutale abusa del partner ed abuserà, almeno psicologicamente, anche dei suoi figli, che vanno preservati. Alcuni soggetti hanno rapporti costruiti solo sul dominio ed il controllo, la manipolazione e la rabbia, il ricatto frasi come“ se non fai ciò che dico ti abbandono e smetto di “amarti”, e queste modalità verranno poste in essere anche verso i figli. Di recente rappresentazione, il concetto di mobbing, utilizzato nel diritto del lavoro, è stato trasferito all’ambito familiare.

Considerazioni

Nel trattare il delicato e articolato tema del mobbing all’interno del contesto delle relazioni coniugali e familiari è facile imbattersi in una sorta di “sindrome della torre di Babele”, che avviene quando non c’è solidarietà,  in cui si proferisce della stessa cosa con linguaggi differenti ed in contesti diversificati, producendo così incapacità di comprendere e problematicità interpretative. La complessità maggiore risulta nel fatto che  proprio il tema del mobbing familiare appare essere ancora poco ispezionato non tanto dalla dottrina quanto invece dalla giurisprudenza, con l’ effetto che le delicate controversie dell’ individuazione del fenomeno, della sua attestazione in giudizio e degli strumenti di tutela devono per forza essere “presi in prestito” dal settore che ha visto germogliare il mobbing e sul quale si sono  commisurati gli interpreti, nello specifico il diritto del lavoro e la tutela del lavoratore. Il mobbing prende questa appellativo da espressioni anglosassoni che denotano l’azione di una folla, contrapposto nei confronti di un singolo individuo. Il verbo “to mob” significa circondare, affollarsi intorno a qualcuno ed esprime il senso del cingere, dell’accerchiare una persona che ne risulta oppressa e messa in condizioni di inferiorità. Il sostantivo “mob”, a sua volta, fa riferimento alla folla, con un accezione negativa di agglomerato sfavorevole, pericoloso ed essenzialmente illecito. Il mobbing familiare si manifesta in reiterate condotte irrispettose prese da parte del convivente nei confronti dell’altro, fino a farle finire in atteggiamenti sdegnanti ed espulsivi, spesso anche pubblici. Con la locuzione mobbing familiare si individuano tutti quei comportamenti diffamatori nei confronti del coniuge tali da sopprimere la personalità e limitare l’autostima della vittima. I fatti continui e ripetuti dai quali escono maltrattamenti soprattutto a livello psicologico, che conducono il soggetto che li patisce a svalutare la propria personalità e ad cancellare la propria autostima tanto da mettersi in netta subordinazione con l’autore. Dai naturali apprezzamenti negativi sulla capacità gestionale del menage familiare alla incessante maldicenza della personalità della vittima tratteggiano i caratteri del mobbing familiare e del suo obiettivo volto alla disintegrazione della personalità del partner. Il mobbing familiare fa il suo accesso nell’ambito dei rapporti coniugali dopo l’approvazione fatta dai giudici della Corte di Appello di Torino nel 2000, che determina come rilevante ai fini dell’addebito della separazione il comportamento ingiurioso ed offensivo fatto in pubblico dal coniuge ai danni dell’altro coniuge. Per mobbing familiare si deve interpretare la simultaneità di una serie di comportamenti che accadono reiterati costantemente in danno del partner. Tali comportamenti si realizzano in una serie di vere e proprie afflizioni, soprattutto di tipo psicologico, che accompagnano il soggetto destinatario a subire una rivalutazione della propria personalità, ad sopprimere la propria autostima al punto di venirsi a scorgere in una posizione di totale assoggettamento davanti al mobber. Come per esempio dai semplici commenti negativi sulle capacità di coordinazione del menage familiare, si va alla costante maldicenza dell’aspetto fisico, delle capacità del coniuge, alla sistematica distruzione dell’integrità della personalità mediante l’insulto, il rifiuto di ogni valutazione e via dicendo. Oltre la spiegazione delle condotte, per definire l’esistenza di una ipotesi di mobbing familiare o mobbing coniugale, è necessario che tali condotte si reiterino nel tempo e che l’effetto psicologico vada oltre quello che, ad esempio, può essere conferito ad un singolo litigio.  Alla luce di quanto detto sorgono delle domande : Quale è’ la finalità del mobber? La disintegrazione del partner; qual’è invece il fine  dello psicopatico e del narcisista maligno? La stessa, ovvero l’ annullamento del partner. Quello che contraddistingue infatti il mobbing familiare è un vero e proprio schizzo posto in essere al fine di compiere una vera e propria distruzione della personalità del partner che  sprofonda in uno stato di depressione istigata dal mobber , cioè dai suoi comportamenti, nella quale la privazione completa dell’autostima e la soppressione della personalità sono lo strumento per spingere l’allontanamento della vittima. In pratica, ciò coincide alla fase della svalutazione che fa il ciclo delle relazioni squilibrate di psicopatici e narcisisti patologici. Per maltrattamento psicologico facciamo riferimento a  quella serie di comportamenti che hanno come scopo quello di sottovalutare una persona mettendola in una condizione di subordinazione e rovinandone il benessere psicologico ed emotivo. La violenza psicologica non restituisce effetti fisici evidenti, come vediamo invece in quella fisica o in quella sessuale, ma i suoi effetti sono più difficili da discernere, sia per la vittima stessa che per un osservatore esterno. E talvolta, se questi comportamenti sono attuati nei confronti di una donna, purtroppo vengono ancora culturalmente acconsentiti. Secondo Marie-France Hirigoyen (2000) il rapporto molesto attraversa due fasi: la seduzione perversa, e la violenza palese. Durante la fase di seduzione la vittima viene sovvertita fino a perdere la fiducia in se stessa. L’aggressore la attrae inviandole una buona immagine di sé e guadagnandosene così l’ammirazione;  in seguito le rimanda un’immagine positiva di se stessa sfruttando i suoi istinti protettivi: le fa credere di essere libera ma, paradossalmente, gradualmente la priva della propria libertà e del proprio senso critico. Tutto questo per limitare la sua capacità di difesa, convincendola ad ubbidire e cedere al suo potere, mettendo in atto un vero e proprio controllo mentale.  Frequentemente tali comportamenti prendono la conformazione di maltrattamenti fisici, ma ciò non è da estromettere, esaminata la scarsa attitudine a trascinare all’attenzione dell’autorità tali episodi: la vittima cade in uno stato equiparabile a quello delle vittime di violenza, spesso restie per paura o vergogna a querelare quanto subito. Può capitare che molte vittime non concretizzino di star tollerando dei maltrattamenti psicologici. Questo fenomeno è molto abituale e anche particolarmente minimizzato. Solitamente  nei giornali vengono trascritte le notizie più indecorose come omicidi e violenze fisiche. I maltrattamenti invisibili, al contrario, si insidiano lentamente e percuotono psicologicamente la vittima senza che essa se ne possa rendere conto. Il soggetto, giorno dopo giorno, viene svigorito mentalmente. Sussistono numerose famiglie che dietro atteggiamenti formalmente ‘perfetti’ coprono atteggiamenti allarmanti e ingannatori tesi a colpire un altro componente. Queste aggressioni  non sono solo  fisiche. Non facciamo riferimento allo schiaffo, alla spinta, un calcio o una ferita , ma sono vere e proprie aggressioni psicologiche che colpiscono in profondità l’altra persona. L’umiliazione è l’arma prescelta del maltrattatore che tenta di sminuire il soggetto. La vittima arriva ad essere denigrata, umiliata, offesa verbalmente. A questo punto il maltrattato inizia a sospettare di sè stesso, dei propri gesti, delle proprie parole, ed comincia a credere ad una realtà modellata dalle parole del maltrattatore. Una realtà artificiosa che si insidia violentemente nella mente del soggetto. Per tutto questo vengono denominati maltrattamenti invisibili poiché la vittima non si rende conto di ciò che sta tollerando.   Molto spesso si tratta di un familiare estremamente caro come un padre, una madre, un fratello o un compagno. E la vittima non ammette e non concretizza che proprio quella persona gli fornisce così tanto dolore, comprendere tale situazione potrebbe condurre a livelli estremi di ansia uniti da forti attacchi di panico. La vittima è dubbiosa e può divenire violenta e aggressiva al prolungamento di tali maltrattamenti. Ed ecco che il maltrattatore controbatte questo soprannome dato che addolcisce i maltrattamenti con una buona dose di humor, di scherzi e commenti simpatici che percuotono il soggetto nei punti deboli, possiamo dire che  é una violenza subdola, inquietante, quasi perversa, che ha come  scopo unicamente la distruzione del soggetto. Il tono del maltrattatore è sottile, piatto e tranquillo così che chi origlia possa udire solo un innocente velo di ironia. Tutto questo viene camuffato da atteggiamenti esteriormente perfetti e affettuosi tesi a sviare la vittima. L’aggressore è consapevole delle proprie azioni e tende a schermare un senso di inferiorità marcato, per tale motivo tenta di denigrare la vittima. Egli cerca di controbilanciare il senso di inferiorità ottenendo potere sulla vittima. Le conseguenze però sono distruttive, il soggetto sente di non servire a nulla mostrando una scarsissima autostima e disprezzandosi continuamente. Inoltre, la vittima saggia la solitudine distanziandosi da tutte le persone a lui care avendo paura di essere colpito nuovamente, quindi il senso di colpa della vittima sarà lancinante. La bassa autostima, il senso di colpa e la solitudine potrebbero condurre il soggetto a provare una forte depressione. Egli non sarà più capace di manifestare ciò che prova concretamente cancellando totalmente  le proprie emozioni e avrà non scarse problematicità a relazionarsi con gli altri per assenza di fiducia. I maltrattamenti invisibili sono perfidi e vanno affrontati e presi in considerazione poiché una violenza psicologia, spesso, è più intensa e prepotente di una violenza fisica.

conclusioni

Sia donne che uomini possono essere vittime di violenza psicologica. Ci sono  uomini che provano amore  e uomini che vogliono  solamente possedere. Nelle relazioni il controllo tormentoso è una violenza psicologica che sopportano molti partner, individuarla è importante. Deprezzamento continuo, vigilanza su amicizie e su affetti, gelosie immotivate e stalking, offese e minacce, ostacoli all’autonomia morale ed economica, invadenza continua per conseguire rapporti sessuali, falsi rimorsi, sono tutti indicatori di troppo controllo e di violenza psicologica tramandati a danno di qualunque partner. Per riuscire a ribellarsi alla violenza psicologica è fondamentale il tempo, forza e consapevolezza da parte della persona che la patisce, perché l’unica via da attraversare è quella della fuga , intesa come venir via e abbandonare la situazione che ci fa star male .Ma per arrivare a questo cammino, il percorso è lungo, e certamente il primo passo è identificare di avere un problema e domandare aiuto. Reclamare aiuto non è mai sentore di debolezza: anzi tutto il contrario. È equivalente di coraggio e consapevolezza, ed è una cosa di cui andare orgogliosi. Serve pertanto, per venire fuori da uno stato di violenza psicologica. Riconoscere il problema e affrontarlo, l’accettazione è il primo passo alla risoluzione del problema; raccontate del vostro problema con i vostri cari, amici e parenti perché vi possano essere di appoggio, ma rivolgetevi soprattutto a un esperto del settore, come un terapeuta o avvocato, perché vi possa accompagnare professionalmente nel vostro percorso . Concentratevi su voi stessi, sui vostri desideri e bisogni: la violenza psicologica tende a svalutare, criticare, sminuire le persone che la soffrono: ripartire da sé stessi dopo una violenza psicologica, è un modo per capire a mettersi al centro del proprio mondo e stare bene; perfezionare l’autostima: collegato al punto precedente, è importante citare quanto si è importanti e esclusivi, e quanto amore e serenità dobbiamo avere di noi; abbandonare la persona, il lavoro, la condizione che fa star male: l’amore non può  fa star male se qualcuno vi tratta male non vi ama, vi sta solo controllando. Contrastare la violenza psicologica non è semplice, particolarmente quando sono implicati i sentimenti, ma è un passo necessario per rintracciare la serenità e la felicità. Imparare a domandare aiuto e a individuare il problema è un passo indispensabile. Per allontanare la violenza e lo sfruttamento si deve riprendere la capacità di azione, di difesa, l’autostima ed i propri confini. Si deve andare fuori dal ruolo di vittima inattiva del predatore e ripresentarsi ad essere padrone delle proprie scelte e della propria vita.

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Dott.ssa Daniela Cusimano, Coordinatrice PSP-Italia