Le Emozioni della Terza Età

A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP

Le Emozioni della Terza Età

“Una buona gestione delle emozioni nell’autunno della vita consente di adattarsi meglio alla realtà della vecchiaia”

Le Emozioni sono dei processi multicomponenziali che ci informano su come stiamo e su ciò che proviamo in risposta a stimoli non solo esterni, ma anche interni (pensieri, ricordi…), determinando le nostre azioni e comportamenti e, soprattutto, il nostro livello di benessere psicofisico in base alla modalità in cui le gestiamo.

In ogni “età” e ciclo di vita se ne possono individuare alcune che risultano predominanti e che tendenzialmente li caratterizzano.

Nel ciclo di vita della Terza Età sì riscontrano diverse “crisi” dovute a tutta una serie di avvenimenti, molti dei quali inevitabili, come laperdita di vigore e forza fisica, il deterioramento a livello cognitivo, il ritiro dall’attività lavorativa e il pensionamento, la vedovanza, l’allontanamento dei figli, la malattia, la perdita di autosufficienza.

La vecchiaia può dunque essere considerata una “dura prova” a tutti gli effetti: l’aspetto fisico si modifica, il ruolo sociale cambia, si deve fare i conti con la precarietà della salute a cui spesso si aggiunge la precarietà economica, e quasi sempre la precarietà delle relazioni, in quanto l’anziano vive piú o meno ripetutamente esperienze di lutto e di perdita di amici e conoscenti.

In generale, si chiude l’accesso ad esperienze potenzialmente creative e stimolanti che mantenevano attivo il soggetto sotto diversi punti di vista, e ciò comporta un disagio non indifferente soprattutto a livello psicologico ed emotivo.

Gli anziani appaiono destinati a sentirsi esclusi in una società nella quale “si è ciò che si fa” e, se non si riesce più a far niente, si è una nullità;

rimanendo così tagliati fuori da ogni status sociale definibile “produttivo”, la perdita di identità che ne consegue comporta un disorientamento totale e tutta una serie di emozioni negative, (favorite e rinforzate da una passiva accettazione di alcuni stereotipi sulla vecchiaia) che rischiano di travolgere l’anziano, sempre più considerato “un peso”, se non addirittura un mero elemento soprannumerario.

Come sosteva Tritschler, si può semplificare tutto ciò affermando che fondamentalmente “il dramma dei vec­chi delle nostre società si sviluppa attorno a due concetti cardine: la nozione di utilità e quella di indipendenza”.

Tra le paure principali in questa fase di vita si riscontrano infatti proprio la paura della perdita dell’autosufficienza fisica a causa del graduale ed irreversibile declino fisico e mentale (ancora più drastico se subentrano delle patologie), e la conseguente paura di dipendenza dagli altri a causa di ciò.

Il timore di dover dipendere completamente dai familiari, e quindi di creare loro anche delle difficoltà di tipo organizzativo, fa nascere il terrore di venire abbandonati.

Il timore più grande per l’anziano non è dunque la morte, quanto piuttosto la malattia e il rifiuto da parte del suo nucleo familiare, la solitudine, il rischio di un isolamento affettivo-relazionale, che contribuiscono ad accrescere ancora di più il suo senso di fragilità ed impotenza.

Insieme al ruolo essenziale degli affetti, la mancanza di un posto e di una collocazione socialmente riconosciuti, comporta un’ulteriore mancanza di senso che fa diventare preda di un malessere emotivo non indifferente, caratterizzato soprattutto da tristezza e sconforto;

uno stato tipico di “depressione senile” da intendersi piú come condizione reattiva, indotta dall’ambiente circostante e persino auto-imposta come situazione esistenziale ineludibile, visto il quadro prima descritto, all’interno del quale va ad inserirsi.

Bisogna comunque ammettere che in questa fase di vita il tempo e le energie rimanenti sono obiettivamente minori di quelle già spese, così che viene a diminuire la progettualità a favore delle riflessioni sul passato: la Terza Età é tempo di “bilanci”.

Per ritenersi soddisfatti della propria vita, nel volgere lo sguardo indietro, é necessario trovarsi d’accordo con le scelte compiute, e giudicare positivamente le tappe del proprio percorso; diversamente, un bilancio negativo della propria storia di vita può far scaturire sentimenti di delusione, frustrazione ed anche aggressività.

Come sosteneva Butler, superata la soglia di ingresso in questa particolare età, risulta molto importante attuare un processo di “revisione” della propria esistenza che sia però costruttivo, per acquisire e compiere passi verso una nuova consapevolezza, senza rimanere imbrigliati nei sentimenti negativi, frutto di bilanci diversi da quelli sperati (Life Review, ovvero “Ricapitolazione di vita”).

In questa stessa direzione, secondo Markus, “Sintetizzare la propria vita, capirne il senso ultimo anche riflettendo sul senso delle prove affrontate e vissute, aiuta a sviluppare l’idea di chi siamo stati, di chi siamo ora e di cosa saremo”, in una prospettiva di possibilità e potenzialità, in quanto individuare gli errori compiuti potrebbe comportare anche la possibilità di rimediarvi, per quanto ancora possibile.

Strettamente connesso ai bilanci che vengono effettuati volgendo lo sguardo al tempo passato, appare il sentimento della “nostalgia”, che nasce da un confronto con il tempo presente, valutato in maniera negativa, o comunque non ritenuto “all’altezza” del tempo trascorso e già vissuto.

Si sostiene che “tre siano i principali tipi di nostalgia, che suscitano maggiormente forti emozioni: quella dei soldati, quella degli emigranti e quella degli anziani“.

La nostalgia degli anziani é da intendersi come una forma di desiderio di qualcosa che nel presente non c’è, che nasce dall’essere stati felici altrove e in un altro tempo.

Ma nel ricordo nostalgico del passato capita spesso che si tenda a focalizzare l’attenzione più sugli aspetti positivi che su quelli negativi, così che i ricordi più lontani nel tempo risultino meno realistici perché deformati da chi li ricorda, venendo valutati in maniera maggiormente positiva rispetto al reale.

Nonostante la presenza di emozioni per lo più negative in questa stagione della vita, la vecchiaia é una fase che merita assolutamente di essere valorizzata, abbandonando il pregiudizievole modo di vederla, e “compensando” positivamente l’inevitabile infragilimento fisico e mentale della persona anziana, con la possibilità di attingere a risorse ancora attive e attivabili, soprattutto nell’ottica del tempo presente.

La sfida risiede infatti proprio nel trovare la capacità di vivere nel “qui ed ora” con un atteggiamento di gratitudine per l’esistenza, data dalla consapevolezza che i ricordi ci appartengono e vivono continuamente dentro di noi, e che le esperienze passate ci hanno forgiato determinando chi siamo oggi; ma ciò non deve immobilizzare la persona in un perenne stato malinconico.

Come sosteneva Jung, si dovrebbe riuscire a “vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, e pensare ogni giorno come se si potesse vivere per sempre”, adottando una nuova prospettiva nei confronti della vita.

Cominciando dalla riduzione degli obiettivi a lungo termine, gli anziani dovrebbero consapevolmente investire in una migliore qualità di “vita presente” attraverso, ad esempio, la riscoperta del piacere di dedicarsi con cura ad una attività amata, o coltivando i rapporti affettivi rimasti (sia intra- che extra-familiari), e creandone di nuovi soddisfacenti, ritenuti indispensabili per il mantenimento dell’equilibrio psicoemotivo della persona, e per un’adeguata motivazione alla vita stessa.

Infine, per chi possiede la fortuna di invecchiare in “buona salute” esiste la possibilità di osare maggiormente, dedicandosi ai viaggi, alle attività di volontariato e alla pratica di sport.

L’Acting Aging, in un’epoca come la nostra, quando possibile, rappresenta per la Terza Età il modo di dimostrare che invecchiare in maniera positiva é possibile!

Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia e la sua equipe di professionisti possono aiutare la persona anziana a farlo, guidandola con professionalità verso una visione evolutiva e costruttiva dell’esistenza e dei rapporti sociali, che va mantenuta fino all’ultimo giorno di vita, ed aiutandola a mettere a fuoco i fattori di vulnerabilità affinché procurarsi gli strumenti idonei a poter regolare al meglio l’intensità dei propri stati emotivi.