Alla scoperta dell’Infanzia

A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia

Alla scoperta dell’Infanzia

“Questa è la bellezza dell’Infanzia:
gli occhi mostrano tutto ciò che si è visto sino a quel momento, ma il resto della persona è ancora così aperto alle possibilità, a qualunque cosa si voglia diventare”
(B. Despain)

Generalmente l’Infanzia è quel periodo della vita che va “dalla nascita alla pubertà”, segnale che introduce un’altra importante fase che è l’adolescenza.

In un unico termine è dunque compreso un periodo di tempo abbastanza esteso, che va da 0 a 12/13 anni circa, durante il quale il bambino vede avvenire in sè numerose ed importanti trasformazioni.

..Anche se l’Infanzia -cosí come altre fasi del ciclo vitale- è da intendersi come vero e proprio fenomeno storico-culturale per cui, accanto a caratteristiche comuni, i bambini presentano delle “specificità” attribuitegli convenzionalmente, strettamente legate a fattori geografici e temporali, che hanno visto concezioni diverse di questo periodo ed anche una sua diversa durata.

Al di là di ciò, quel che è certo é che si tratta di un lungo percorso di crescita biologica, psicologica e sociale, durante il quale si pongono le “premesse” per la vita futura del bambino. La sua importanza è data dal fatto che queste maturazioni costituiscono il fondamento della personalità, e permettono al soggetto di assimilare le conoscenze e le competenze necessarie per diventare un membro a pieno titolo della società; da qui la “funzione sociale” dell’Infanzia di preparare le generazioni più giovani ad un ruolo attivo e ad una vita man mano sempre più autonoma ed indipendente.

La percezione moderna ed attuale dell’Infanzia però non è sempre esistita, tanto che l’attenzione a quest’importante fase dell’esistenza si puó ritenere una delle conquiste culturali del ventesimo secolo. Sino ad allora la società mostrava una grandissima indifferenza nei confronti dell’Infanzia, e vedeva nel bambino un “uomo immaturo e imperfetto, privo di dignità e di finalità proprie”, spesso concepito come peso inutile o, comunque, come un oggetto di proprietà dell’adulto, che lo riteneva materiale informe da plasmare con ogni mezzo, in funzione di un modello precostituito che non teneva conto delle sue esigenze e bisogni.

Pertanto, gli atteggiamenti e le credenze nei confronti dell’infanzia sono stati per lungo tempo caratterizzati da “ambivalenza”, con una maggior tendenza a considerare i bambini come “esseri imperfetti”, soggetti all’errore e al peccato e, in situazioni di miseria, persino un peso di cui disfarsi:“Il conflitto tra atteggiamenti protettivi ed atteggiamenti distruttivi e rifiutanti ha portato per lungo tempo a non sapere come comportarsi con loro, se considerarli un bene o un male, e se includerli nella società degli adulti o escluderli” (M. McLaughlin).

Bisognerá attendere gli anni 50-80, epoca di calo della mortalità infantile (grazie ai progressi della scienza medica ma, soprattutto, ad un nuovo modo di guardare ai bambini che fa nascere la necessità di curarne l’igiene e provvedere alla loro salute fisica), per cominciare a notare un interesse diverso nei confronti di questa fondamentale fase di crescita, maturazione e sviluppo.

Sino ad allora gli infanticidi, contrastati poi dalla diffusione del Cristianesimo ma sostituiti da metodi di accudimento comunque violenti e repressivi (tra cui le punizioni corporali aventi lo scopo di incutere perenne paura ai bambini al fine di “tenerli buoni”, e le famose “fasciature” che, dietro l’apparente volto di metodo preventivo e/o correttivo per eventuali storpiature, nascondevano in realtà una condizione di maggiore comodità per la donna che, grazie all’immobilità del figlio, poteva badare alle altre faccende domestiche), ed il diffusissimo fenomeno dell’abbandono dei figli soprattutto in caso di famiglie numerose, in situazioni di indigenza o di presenza di malformazioni fisiche, sottintendevano la concezione che si aveva dei bambini: soggetti “inutili” alla patria, specialmente in condizioni di povertà, nei casi più estremi un peso di cui disfarsi, le cui esigenze erano in ogni caso da subordinare alle necessità più generali dell’intera famiglia e ai metodi oppressivi degli adulti:
“La miseria umana può toccare dei livelli in cui l’intensità della lotta per soddisfare l’esigenza fondamentale del cibo e del tetto lascia ben poco spazio alle emozioni e ai rapporti affettivi. […] è inevitabile che i piccoli ed ingordi concorrenti vengano trattati nel migliore dei casi con trascuratezza, e nel peggiore con una deliberata ostilità che ne incoraggia la rapida dipartita da questo mondo” (M. Tucker).

Ad una nuova visione dell’Infanzia e del bambino, contribuirono nel tempo sicuramente anche

  • l’introduzione dell’istruzione scolastica, che consentì ai bambini di non vivere più esclusivamente mescolati con gli adulti, permettendo la delineatura di una netta distinzione tra il mondo dei bambini ed il mondo degli adulti, ed il riconoscimento di caratteristiche peculiari proprie dell’Infanzia: “lo sviluppo della scuola sostituisce l’apprendimento esclusivo dell’esperienza all’interno della famiglia, che rappresenta solo una società provvisoria da cui ad un certo punto è necessario che i figli escano” (P. Aries);
  • e le modificazioni della struttura familiare, dovute anche ad una nuova immagine della donna: dal declino dell’abitudine a “mettere a balia” i propri figli, ai primi colpi inferti all’assolutismo maschile dati dal pensiero illuminista, che riconosceva uguali diritti tra marito e moglie cosicché, ad un cambiamento dei rapporti di forza tra uomo e donna all’interno delle famiglie, conseguivano anche delle modifiche nei rapporti genitori-figli:
    “Il marito, non più monarca assoluto, doveva essere devoto alla moglie ed affezionato ai figli; la donna, nè diabolica nè irresponsabile, nè strega nè madonna, doveva essere la compagna amata; il bambino, frutto di un amore felice, doveva essere amato e rispettato come persona” (E. Shorter), tutti effetti della cosiddetta “Rivoluzione sentimentale” che separó e distinse il pensiero della società tradizionale da quello della società moderna.

J.J. Rousseau, al pari di altri importanti pedagogisti, sosteneva a tal proposito che i diritti genitoriali dovevano essere “limitati” dalle necessità del figlio: l’autorità dei genitori non era assoluta, e l’alienazione della libertà del bambino e la sua disuguaglianza nei confronti dell’adulto valevano fintantoché il bambino risultava incapace di vigilare sulla propria incolumità; nel momento in cui egli avrebbe raggiunto l’indipendenza sarebbe diventato uguale ai genitori, ed i legami si sarebbe mantenuti per affetto e non per obbligo.

Decennio dopo decennio l’attenzione per l’infanzia andò crescendo: accanto all’idea che i più piccoli dovessero essere disciplinati e controllati, andò affermandosi anche il convincimento che essi dovessero essere “protetti e socializzati”, e che si dovessero riconoscere e soddisfare i loro bisogni e le loro esigenze psicologiche.

Le idee di Rousseau, seguite da quelle di Freud, della Montessori, di Piaget, di Winnicott e di molti altri, contribuiranno a delineare una “nuova immagine del bambino” e rafforzare il convincimento che l’Infanzia debba assolutamente essere un periodo da salvaguardare, mediante il rispetto dei ritmi di sviluppo di ogni bambino, e la predisposizione di un ambiente tollerante, protettivo e stimolante allo stesso tempo, dove poter fare le proprie esperienze di vita in maniera sana.

Già da queste poche righe è possibile comprendere come l’infanzia non sia dunque quel periodo di disimpegno e spensieratezza che alcuni immaginano e spesso dipingono, ma “un periodo di importanti dinamiche e passaggi che gettano le fondamenta del futuro, determinando la costruzione della personalità adulta”.

Come sosteneva Freud, e così come riportano i fondamenti della psicologia dinamica, alcuni disadattamenti in età adulta vanno interpretati proprio alla luce delle esperienze infantili, secondo l’assunto in base al quale l’individuo si porta dietro per tutta la vita “impronte” e “tracce” lasciate dalle esperienze vissute nei primissimi anni di vita, che diventeranno “costitutive” della sua personalità e delle sue scelte future.

Risulta pertanto di fondamentale importanza che ad ogni bambino vengano “sanate” per tempo (se non si riescono ad evitare a monte) eventuali esperienze traumatiche:
“soltanto se protetti negli anni più delicati i bambini possono sviluppare quel senso di fiducia verso la vita e di sicurezza in sè stessi che consentiranno loro, una volta diventati adulti, di affermarsi e di vivere serenamente con gli altri, inserendosi nella complesse dinamiche dell’esistenza”.

Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia ed i suoi professionisti specializzati sono pronti ad intervenire a sostegno e salvaguardia di questo importantissimo periodo della vita,
cercando le migliori strategie ed i percorsi più adatti per ridurre o superare eventuali problematiche e/o disturbi che si possono presentare durante questa fase di sviluppo.

Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia